Società e violenza
Cosa è morto con i ragazzi della Thyssen
Inserito da don Alberto il Dom, 13/01/2008 - 6:23pmMi permetto di segnalare all'attenzione di tutti, dei giovani specialmente, oltre che di ogni cristiano lavoratore, una testimonianza semplice, vera, drammatica, coinvolgente sull'incidente occorso alla fabbrica torinese della ThyssenKrupp: con sette (uno, un altro, un terzo, un altro ancora, poi ancora uno, un altro, un altro ancora...) operai morti.
E la lista in Italia, ma non solo, si allunga fino all'inverosimile...
E' un articolo di EZIO MAURO sul quotidiano la Repubblica di venerdì 11 gennaio 2008, alle pagine 1-6-7, dal titolo
COSA E MORTO CON I RAGAZZI DELLA THYSSEN
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Una copia dell'articolo è reperibile in canonica.
A lettura avvenuta possiamo ragionarvi insieme.
Buona settimana!
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genitore = strumentalizzatore
Inserito da Tomi il Gio, 10/01/2008 - 7:04pmIl forum introdotto da Leo sui bamboccioni e gli interventi che già ho fatto, insieme con alcuni dei temi riguardanti l'educazione dei figli che ho letto alcuni giorni fa, mi danno lo spunto per introdurre questo nuovo argomento. Tutto ciò che intendo esprimere sta racchiuso in sintesi nel titolo stesso. Cosa significa dire che un genitore è uno strumentalizzatore? Cerchiamo di capire bene. Non mi aspetto di incontrare il vostro favore, tuttavia desidero comunicare le mie visioni, ed eventualmente suscitare un dibattito. Provate a considerare questo: una persona viene al mondo generata dai suoi genitori, e una volta che questo è accaduto è costretta per natura a vivere per anni in una condizione di dipendenza pressoché totale da chi l'ha generata. Questa condizione dura per un tempo lunghissimo, talmente lungo che non se ne riesce a vedere la fine. Infatti, come già sottolineato altrove, vi sono parecchie persone che raggiungono i 30 anni, e li superano (talvolta di parecchio!), e continuano a dipendere dai genitori. Questa condizione di dipendenza, che sostanzialmente si traduce in subordinazione, prende dunque un terzo della propria esistenza, se non addirittura la metà. Forse quando si è molto piccoli, nonché molto vulnerabili e totalmente incapaci di opporsi in qualche modo agli stimoli provenienti dall'esterno, questa condizione di dipendenza non si percepisce nel suo essere, e quindi non pesa, o la si trova piacevole. Ma quando si diventa più grandi? Tutto questo poi presuppone di non essere per propria disgrazia capitati in una famiglia disastrata, dove i genitori approfittano del fatto di essere più forti per usare il bambino come la loro pedana da piedi, e maltrattarlo se egli tenta di difendersi (e quante ce ne sono di famiglie del genere!). Ma tralasciamo per un attimo questo aspetto, che comunque è tutt'altro che eccezionale, e vediamo le cose nella normalità. Già dai primissimi anni, i genitori che impartiscono al bambino l'educazione spesso ricorrono a qualche forma di violenza, come lo schiaffo o le parolacce, atti che mortificano la sensibilità del bambino. Poi inizia la scuola, e mentre la natura vuole che il bambino, e il ragazzo, faccia più volentieri altre cose che non studiare, per poter andare avanti è necessario che il bambino studi, e ancora il genitore talvolta ricorre alle forme di violenza per farlo studiare, oppure alle punizioni, che comunque costituiscono una forma di mortificazione. E con questo abbiamo già accompagnato l'essere umano per 6 anni, poi per 5 di elementari e anche per 3 delle medie, poiché quanto detto per le elementari vale anche per il ciclo successivo. Intanto abbiamo già fatto passare 6+5+3=14 anni di esistenza, nel migliore dei casi (potrebbero diventare di più). Ma uno a 14 anni è solo un ragazzino, è ben lontano dall'aver raggiunto uno status adulto, o almeno giovane adulto, non è nemmeno maggiorenne, e dunque ancora è in un rapporto di totale dipendenza da chi l'ha generato. Anche se la scuola dell'obbligo ancora non è terminata, poniamo che, una volta ottenuta la licenza media a 14 anni, il ragazzo abbia terminato la scuola obbligatoria, e possa decidere se fare le superiori o imparare un lavoro, come era fino ad alcuni anni fa. Innanzittutto molto spesso il ragazzo non è libero nella scelta, ma questa gli viene imposta dai genitori, i quali avanzano la pretesa che egli segua la strada che loro vogliono che lui segua. Tuttavia, voglio essere generoso, e concedo quindi che il 14enne sia libero di scegliere cosa vuol fare (certamente vi sono molti costretti, ma vi sono anche dei liberi, ne convengo). Cercherò di esaminare separatamente le due alternative. Se il ragazzo decide di continuare a studiare, non fa che continuare a vivere nello stesso modo in cui è vissuto negli anni precedenti, con genitori pronti a minacciarlo e a punirlo se non fa quello che loro pretendono (magari le botte, a un certo punto, terminano, ma le punizioni no), e magari nella scuola trova delle oggettive difficoltà, ma per i genitori queste sono quisquilie, stupidaggini, il figlio deve produrre e basta. Questo dura quindi altri 5 anni, magari con qualche variazione di forma, ma la sostanza è questa. Passati anche questi anni, il ragazzo ha 6+5+3+5=19 anni (è passato quasi un ventennio!), teoricamente sarebbe maggiorenne. Ancora una volta, può decidere se iniziare a lavorare o fare l'università. Adesso, poi, la maggirparte dei ragazzi proseguono lo studio dopo le superiori, e questo induce tutti a pensare che sia meglio proseguire, piuttosto che iniziare un lavoro. Come 5 anni prima, non è affatto scontato che il ragazzo scelga in maniera autonoma, spesso è pesantemente condizionato dai genitori, e io stesso conosco numerosi casi di questo tipo. In ogni caso, se uno si iscrive all'università, non fa che protrarre la propria subordinazione nei confronti di chi lo ha generato almeno per altri 5 o 6 anni in un modo che è inutile stia a descrivere. A questo punto siamo già arrivati almeno a 24/25 anni, quasi un terzo della vita se ne è andato, e la dipendenza continua. Analizziamo ora il caso in cui il ragazzo decida di andare a lavorare. Ritorniamo dunque indietro nel tempo, e ritroviamo il 14enne con la licenza media. Ma uno con la sola licenza media può fare ben poco, e all'inizio non poitrà che finire in un posto in cui verrà sfruttato indegnamente e prenderà una miseria, per non dire che lavorerà gratis per chissà quanto tempo: io stesso conosco personalmente un caso simile. Se invece il ragazzo inizia lavorare dopo il diploma delle superiori, a 19 anni, potrà già fare qualcosa di meglio, ma la fase infausta iniziale non gliela toglie nessuno, e comunque ha già alle spalle un ventennio di totale subordinazione. E' per certi versi il caso intermedio tra il collega con la licenza media e il 25enne laureato, che è il mio caso. Quest'ultimo è poi destinato a rompere la sua subordinazione veramente tardi: se comincia a lavorare dovrà anch'egli farsi un periodo infausto iniziale di durata considerevole, ma vi sono molti che continuano a studiare e frequentano dei master, e in questo modo arrivano a 27/28 anni e vivono ancora come se ne avessero 10: io credo che questa sia una delle condizioni in assoluto più frustranti e sgradevoli in cui una persona possa venirsi a trovare. Un discorso a parte meritano poi gli stipendi irrisori e infamanti che molti onesti lavoratori prendono: conosco persone che guadagnano 800 euro al mese!! Come fa uno a rompere la subordinazione con chi lì'ha generato se non riceve un trattamento economico che gli permetta di affrancarsi? Ecco dunque cosa intendo affermando che chi è genitore è anche strumentalizzatore: mette al mondo un essere umano per costringere quest'ultimo a vivere una fase lunghissima, della durata di almeno un ventennio che spesso diventa un trentennio, di subordinazione e costringendolo anche a subire passivamente questa condizione di non autosufficienza. Ma c'è di peggio: come accennato, vi sono numerose famiglie disastrate che trattano il ragazzo, in quanto più debole come uno schiavo, costringendolo a fare i loro porci comodi: mi è capitato numerose volte, nel corso di questi anni, di leggere cronache di padri autori di gesti inconsulti nei confronti dei figli: a voi quante volte è successo di leggere cose simili? Se poi volete un esempio concreto, vi suggerisco ci leggere il libro "Padre padrone" di G. Ledda, nel quale viene narrata la storia di un rapporto padre/figlio = padrone/schiavo, e questo tema non viene trattato a proposito del solo protagonista, ma come un vero e proprio pilastro sociale, effetto di una mentalità imperante da secoli. Non dico nulla di più: chi, come me, ha già letto il libro sa bene di cosa parla, e chi non l'ha letto credo possa facilmente intuirlo. Faccio solo notare che le cose raccontate accadevano in Italia meno di mezzo secolo fa. Resterebbero da dire ancora moltissime cose, tuttavia per ovvie ragioni di spazio e di tempo posso fermarmi qui, poiché ho ampliamente sottolineato il tema principale, cioé, lo ribadisco ancora una volta, il fatto che un genitore è uno strumentalizzatore perché mette al mondo un essere umano che sarà poi costretto a un lunghissimo periodo di totale subordinazione, e dovrà accettare passivamente tale condizione. A voi ora la parola per aggiungere altri particolari.
Si avvicina capodanno, siamo prudenti con l'Alcol
Inserito da Geme il Mer, 26/12/2007 - 4:08pmDi recente ho collaborato con dei miei colleghi in Croce Rossa ad una campagna di sensibilizzazione per prevenire la guida in stato di ebrezza presso alcune scuole di Mantova e provincia.
Nell'anno 2006 ci sono stati 5.600 morti sulle strade italiane (circa 15 morti al giorno). Circa la metà di questi morti sono vittime innocenti che non hanno bevuto e sono state coinvolte da guidatori senza criterio che era meglio che non si mettessero alla guida.
Adesso vi propongo un conto per comparare il fenomeno con altri due:
- al 2003 al 2006, nel nostro Paese i morti sul lavoro sono stati ben 5.252 -> in 3 anni non si è raggiunto il numero di morti sulla strada del 2006, per lavoro in Italia muoiono circa 3 persone al giorno
- nel 2006 ci sono stati 517 decessi riconducibili ad abuso di sostanze stupefacenti, e piu' o meno altri 500 morte per mano di un tossico -> circa 2 morti al giorno
Riassumendo: 15 al giorno a causa guida in stato di ebrezza contro 5 morti al giorno per morti sul lavoro + morti legate all'uso di stupefacenti.
Siccome questo fenomeno ci riguarda tutti in prima persona (soprattutto noi giovani) lancio a tutti l'invito di responsabilizzarsi. Vi assicuro che il turno del sabato sera dei miei colleghi del 118 è quello piu' difficile (e hanno tutta la mia ammirazione per la loro dedizione).
Oltre a questo molti mi hanno fatto notare che spesso morire in un incidente stradale è il male minore, in quanto si può finire in situazioni di disabilità che rendono le persone completamente dipendenti da famigliari o peggio da macchine per poter vivere. Per chi ritiene quest'ultima affermazione poco rilevante vi propongo di informavi sulla vicenda Jacqueline Saburido, ma fatelo sole se siete di stomaco veramente forte!
Finisco raccomandandovi quando uscite di nominare un guidatore designato, in poche parole a turno ogni sabato uno rimane sobrio e riporta gli altri a casa, è un metodo semplice e collaudato.
Violenza in famiglia
Inserito da Tomi il Mar, 25/12/2007 - 9:09pmCiao a tutti, vorrei introdurre un nuovo argomento di discussione, che è più che mai attuale: le violenze familiari. Se uno segue un qualsiasi TG, o legge un qualsiasi quotidiano, quasi ogni giorno apprende almeno una notizia di qualche strage familiare appena consumata. A questo proposito, segnalo anche che proprio nel Mantovano, a Borgoforte, l'altro ieri vi è stato un delitto in famiglia: un pensionato ha colpito la moglie con una coltellata, e poi, una vorta tornato lucido e resosi conto di cosa aveva fatto, si è tolto la vita impiccandosi. A quanto mi risulta, la donna è tuttora ricoverata in fin di vita. Questo fatto di cronaca è stato riportato non solo dai quotidiani locali di Mantova, ma anche dalla Stampa, tanto era ecclatante, ed è comparso un articolo che spiegava con dovizia di particolari la tragedia. Io ho letto proprio l'articolo della Stampa. Ma non è mia intenzione entrare nei dettagli, volevo solo ricordare questo episodio in quanto accaduto nella nostra provincia. Vorrei invece cercare di analizzare il fenomeno, che sempre di più assume le dimensioni di una piaga sociale: stando a quanto riportato da alcuni quotidiani, i delitti in famiglia supererebbero infatti quelli di stampo mafioso. Madri che ammazzano i figli, mariti che ammazzano le mogli e/o i figli, ma anche figli che ammazzano i genitori, oppure litigi violenti tra generi o suocere: negli ultimi anni si sono verificati numerosi episodi di questo tipo. Dobbiamo concludere forse che non ci si può proprio fidare di nessuno, nemmeno delle persone più vicine, di quelli con cui condividiamo la nostra vita quotidiana? Dobbiamo rivalutare il vecchio detto che suona "parenti serpenti"? O bisogna cominciare a chiedersi se la famiglia talvolta, invece che essere il luogo della solidarietà e del sostegno reciproco, non diventi una trappola, una specie di prigione, da cui bisogna liberarsi per non essere più oppressi? Mi sembra del tutto normale, addirittura ovvio, che possano esserci degli screzi, nascere dei contrasti, ma addirittura fino al punto di trasformare una persona in un carnefice? Quanta oppressione, infelicità, frustrazione, si nasconde dietro un gesto così drammatico e definitivo? Sottolineo che la cronaca è ricchissima di episodi del genere. Alcuni di questi delitti vengono commessi con inaudita ferocia, con crudeltà estrema, quasi fossero maturati copo un lungo calvario. Ricordate, ad esempio, Pietro Maso? Il caso a dir la verità non è recentissimo: lo descrivo in breve per chi non lo avesse presente. Nel 1991, in un paese del Veronese, l'allora diciannovenne Pietro Maso massacrò i genitori a martellate, con l'aiuto di altri tre complici. La stampa, nel tentativo di fornire una spiegazione, disse che Pietro desiderava i soldi dei genitori per fare la bella vita, e i genitori non volevano dargli i loro soldi. Ora, posto che non è possibile spiegare razionalmente un gesto così, non verrebbe da pensare che dietro questa follia potesse esserci una situazione di estrema tensione e conflittualità tra i membri di quella famiglia? O semplicemente Pietro Maso era un disgraziato che desiderava certe cose materiali, e cercò di ottenerle eliminando fisicamente gli ostacoli? E che dire di tutte quelle madri che uccidono i loro piccoli? Sono delle depresse, delle frustrate, o semplicemente delle idiote totali? E gli uomini che ammazzano moglie o figli? Quanta frustrazione si portano dietro un simile delitto? Non si può certo esaurire in breve la questione, ma sarei curioso di sapere le vostre opinioni in merito: io, sinceramente, non so più in che mondo sono.
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