genitore = strumentalizzatore
Il forum introdotto da Leo sui bamboccioni e gli interventi che già ho fatto, insieme con alcuni dei temi riguardanti l'educazione dei figli che ho letto alcuni giorni fa, mi danno lo spunto per introdurre questo nuovo argomento. Tutto ciò che intendo esprimere sta racchiuso in sintesi nel titolo stesso. Cosa significa dire che un genitore è uno strumentalizzatore? Cerchiamo di capire bene. Non mi aspetto di incontrare il vostro favore, tuttavia desidero comunicare le mie visioni, ed eventualmente suscitare un dibattito. Provate a considerare questo: una persona viene al mondo generata dai suoi genitori, e una volta che questo è accaduto è costretta per natura a vivere per anni in una condizione di dipendenza pressoché totale da chi l'ha generata. Questa condizione dura per un tempo lunghissimo, talmente lungo che non se ne riesce a vedere la fine. Infatti, come già sottolineato altrove, vi sono parecchie persone che raggiungono i 30 anni, e li superano (talvolta di parecchio!), e continuano a dipendere dai genitori. Questa condizione di dipendenza, che sostanzialmente si traduce in subordinazione, prende dunque un terzo della propria esistenza, se non addirittura la metà. Forse quando si è molto piccoli, nonché molto vulnerabili e totalmente incapaci di opporsi in qualche modo agli stimoli provenienti dall'esterno, questa condizione di dipendenza non si percepisce nel suo essere, e quindi non pesa, o la si trova piacevole. Ma quando si diventa più grandi? Tutto questo poi presuppone di non essere per propria disgrazia capitati in una famiglia disastrata, dove i genitori approfittano del fatto di essere più forti per usare il bambino come la loro pedana da piedi, e maltrattarlo se egli tenta di difendersi (e quante ce ne sono di famiglie del genere!). Ma tralasciamo per un attimo questo aspetto, che comunque è tutt'altro che eccezionale, e vediamo le cose nella normalità. Già dai primissimi anni, i genitori che impartiscono al bambino l'educazione spesso ricorrono a qualche forma di violenza, come lo schiaffo o le parolacce, atti che mortificano la sensibilità del bambino. Poi inizia la scuola, e mentre la natura vuole che il bambino, e il ragazzo, faccia più volentieri altre cose che non studiare, per poter andare avanti è necessario che il bambino studi, e ancora il genitore talvolta ricorre alle forme di violenza per farlo studiare, oppure alle punizioni, che comunque costituiscono una forma di mortificazione. E con questo abbiamo già accompagnato l'essere umano per 6 anni, poi per 5 di elementari e anche per 3 delle medie, poiché quanto detto per le elementari vale anche per il ciclo successivo. Intanto abbiamo già fatto passare 6+5+3=14 anni di esistenza, nel migliore dei casi (potrebbero diventare di più). Ma uno a 14 anni è solo un ragazzino, è ben lontano dall'aver raggiunto uno status adulto, o almeno giovane adulto, non è nemmeno maggiorenne, e dunque ancora è in un rapporto di totale dipendenza da chi l'ha generato. Anche se la scuola dell'obbligo ancora non è terminata, poniamo che, una volta ottenuta la licenza media a 14 anni, il ragazzo abbia terminato la scuola obbligatoria, e possa decidere se fare le superiori o imparare un lavoro, come era fino ad alcuni anni fa. Innanzittutto molto spesso il ragazzo non è libero nella scelta, ma questa gli viene imposta dai genitori, i quali avanzano la pretesa che egli segua la strada che loro vogliono che lui segua. Tuttavia, voglio essere generoso, e concedo quindi che il 14enne sia libero di scegliere cosa vuol fare (certamente vi sono molti costretti, ma vi sono anche dei liberi, ne convengo). Cercherò di esaminare separatamente le due alternative. Se il ragazzo decide di continuare a studiare, non fa che continuare a vivere nello stesso modo in cui è vissuto negli anni precedenti, con genitori pronti a minacciarlo e a punirlo se non fa quello che loro pretendono (magari le botte, a un certo punto, terminano, ma le punizioni no), e magari nella scuola trova delle oggettive difficoltà, ma per i genitori queste sono quisquilie, stupidaggini, il figlio deve produrre e basta. Questo dura quindi altri 5 anni, magari con qualche variazione di forma, ma la sostanza è questa. Passati anche questi anni, il ragazzo ha 6+5+3+5=19 anni (è passato quasi un ventennio!), teoricamente sarebbe maggiorenne. Ancora una volta, può decidere se iniziare a lavorare o fare l'università. Adesso, poi, la maggirparte dei ragazzi proseguono lo studio dopo le superiori, e questo induce tutti a pensare che sia meglio proseguire, piuttosto che iniziare un lavoro. Come 5 anni prima, non è affatto scontato che il ragazzo scelga in maniera autonoma, spesso è pesantemente condizionato dai genitori, e io stesso conosco numerosi casi di questo tipo. In ogni caso, se uno si iscrive all'università, non fa che protrarre la propria subordinazione nei confronti di chi lo ha generato almeno per altri 5 o 6 anni in un modo che è inutile stia a descrivere. A questo punto siamo già arrivati almeno a 24/25 anni, quasi un terzo della vita se ne è andato, e la dipendenza continua. Analizziamo ora il caso in cui il ragazzo decida di andare a lavorare. Ritorniamo dunque indietro nel tempo, e ritroviamo il 14enne con la licenza media. Ma uno con la sola licenza media può fare ben poco, e all'inizio non poitrà che finire in un posto in cui verrà sfruttato indegnamente e prenderà una miseria, per non dire che lavorerà gratis per chissà quanto tempo: io stesso conosco personalmente un caso simile. Se invece il ragazzo inizia lavorare dopo il diploma delle superiori, a 19 anni, potrà già fare qualcosa di meglio, ma la fase infausta iniziale non gliela toglie nessuno, e comunque ha già alle spalle un ventennio di totale subordinazione. E' per certi versi il caso intermedio tra il collega con la licenza media e il 25enne laureato, che è il mio caso. Quest'ultimo è poi destinato a rompere la sua subordinazione veramente tardi: se comincia a lavorare dovrà anch'egli farsi un periodo infausto iniziale di durata considerevole, ma vi sono molti che continuano a studiare e frequentano dei master, e in questo modo arrivano a 27/28 anni e vivono ancora come se ne avessero 10: io credo che questa sia una delle condizioni in assoluto più frustranti e sgradevoli in cui una persona possa venirsi a trovare. Un discorso a parte meritano poi gli stipendi irrisori e infamanti che molti onesti lavoratori prendono: conosco persone che guadagnano 800 euro al mese!! Come fa uno a rompere la subordinazione con chi lì'ha generato se non riceve un trattamento economico che gli permetta di affrancarsi? Ecco dunque cosa intendo affermando che chi è genitore è anche strumentalizzatore: mette al mondo un essere umano per costringere quest'ultimo a vivere una fase lunghissima, della durata di almeno un ventennio che spesso diventa un trentennio, di subordinazione e costringendolo anche a subire passivamente questa condizione di non autosufficienza. Ma c'è di peggio: come accennato, vi sono numerose famiglie disastrate che trattano il ragazzo, in quanto più debole come uno schiavo, costringendolo a fare i loro porci comodi: mi è capitato numerose volte, nel corso di questi anni, di leggere cronache di padri autori di gesti inconsulti nei confronti dei figli: a voi quante volte è successo di leggere cose simili? Se poi volete un esempio concreto, vi suggerisco ci leggere il libro "Padre padrone" di G. Ledda, nel quale viene narrata la storia di un rapporto padre/figlio = padrone/schiavo, e questo tema non viene trattato a proposito del solo protagonista, ma come un vero e proprio pilastro sociale, effetto di una mentalità imperante da secoli. Non dico nulla di più: chi, come me, ha già letto il libro sa bene di cosa parla, e chi non l'ha letto credo possa facilmente intuirlo. Faccio solo notare che le cose raccontate accadevano in Italia meno di mezzo secolo fa. Resterebbero da dire ancora moltissime cose, tuttavia per ovvie ragioni di spazio e di tempo posso fermarmi qui, poiché ho ampliamente sottolineato il tema principale, cioé, lo ribadisco ancora una volta, il fatto che un genitore è uno strumentalizzatore perché mette al mondo un essere umano che sarà poi costretto a un lunghissimo periodo di totale subordinazione, e dovrà accettare passivamente tale condizione. A voi ora la parola per aggiungere altri particolari.
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rimbocchiamoci le maniche insieme
Figli si nasce, genitori si diventa.
E l'aspetto biologico non è certo determinante: essere genitori richiede soprattutto di crescere, e tanto, come PERSONE... una crescita che dura una vita, fatta di momenti luminosi e opachi, di entusiasmi e di delusioni, di impulsività e di pazienze. E che parte tanto meglio quanto più presto si comincia ad assimilare un senso positivo e ricco dell'impegno. Da maturare via via in una prospettiva di amore/dono che alla fine può illuminare l'essere genitori, e ancor prima l'essere sposi; e comunque (anzi: sempre e comunque) tutto il nostro essere persone!!
Si diventa genitori con un atto di amore e l'unica grande prospettiva per l'accoglienza e l'accompagnamento dei figli resta quella dell'amore, in grado giorno dopo giorno di dare senso, oltre ovviamente alla grandissima gioia!!!, anche ad un'altrettanto grande e continua richiesta di impegno.
Poi è vero che tutti ci portiamo dentro le nostre storie, i nostri limiti, le nostre frustrazioni, le nostre stanchezze, le nostre incapacità a comunicare e dialogare, amplificate a dismisura nella famiglia forse perchè proprio nel cuore della famiglia ognuno vorrebbe essere accettato per come è. Ma non per questo dobbiamo lasciarci andare al pessimismo, anzi dovremmo cercare di moltiplicare l'attenzione reciproca e la disponibilità a fidarci, accoglierci, donarci.
Molti figli forse stentano a riconoscere l'esperienza e l'autorevolezza dei genitori, e d'altronde molti genitori sono poco attenti a trasmettere esperienza e valori autorevoli: forse risulta più comodo scambiarli con un cellulare, una playstation, un motorino o una macchina.
Però, Tomi, sappiamo anche bene che nulla discende dal cielo "per grazia ricevuta": ogni cosa va' perseguita con impegno, e così anche la capacità di amore, fedeltà e saggezza vanno costruite e cementate in un percorso che può riservare delusioni e bruschi stop ma che non per questo possiamo mai permetterci di interrompere unilaterlamente.
E' il gioco della vita, probabilmente è il bello della vita.
Di certo è uno dei grandi significati della vita.
Rimbocchiamoci le maniche, attiviamo cuore, anima e testa e restiamo in cammino... genitori e figli. Insieme.
A mio avviso esageri come sempre
A mio avviso esageri come sempre e sei molto pessimista. E ti elenco alcune analisi che reputo piu' ottimiste.
Tu parti dal presupposto che da quando si nasce ci si ritrova in una situazione di subordinazione, a mio avviso questo non è totalmente un male. Al mondo nessuno "nasce imparato" quindi mi sembra ovvio che se vuoi cavartela da solo e stare al mondo è meglio che prima qualcuno si prenda cura di te e ti guidi evitando magari di incorrere in grossi sbagli (suppongo che i miei genitori essendo in vità da piu' di me sappiano qualcosa di utile).
Noto che esponi una piccola lamentela sul modo di educare i figli riguardo schiaffi ecc... in primo luogo c'è differenza tra punire e muovere violenza (e in effetti ci sono genitori che non riescono a capire tale distinzione).
Tale modo non è comunque errato in una fascia di età bassa in quanto i bambini piccoli non hanno molti modi di comunicare con noi e uno schiaffo da parte del padre/madre che sono le persone in cui si ha una cieca fiducia rappresenta un modo molto diretto per far comprendere che si è fatto qualcosa di sbagliato. Guardando indietro nel tempo preferisco aver paura di uno schiaffo piuttosto che voler attraversare la strada da solo e rimanere investito. Comunque per una discussione simile ci vorrebbe uno psicologo infantile o qualcosa di simile.
Ti lamenti anche del fatto che il percorso di studi è lungo e ti porta fino a 25 anni senza nulla in mano. Questo è un ovvio effetto del mondo che cambia, ci sono nuove professioni piu' complesse da apprendere.
Ti propongo una cosa allora, se non ti piace questo prova a fare come i nostri predecessori che dopo aver preso la licenza elementare erano costretti ad andare a lavorare nei campi svegliandosi la mattina alle 6:00 finendo 19:00 sino alla fine dei propri giorni.
Non credo che in molti scambierebbero tale vita con la nostra da studenti.
Poi per quanto tu possa mettere in cattiva luce i genitori vorrei ricordarti che per i nostri genitori dal punto di vista economico siamo un onere e non un guadagno quindi mi sembra abbastanza ovvio che non possiamo godere di piene libertà e che studiare è il mezzo con cui ci predisponiamo ad avere un lavoro e diventare autosufficienti.
rispondo alle critiche
Innanzittutto ringrazio leo e Geme per essere intervenuti nel forum da me lanciato. Cercherò di analizzare e ribattere separatamente i due interventi. Inizio da quello di leo. Caro leo, mi sembra che tu insista molto sulla dimensione affettiva che lega, o meglio dovrebbe legare, un figlio ai suoi genitori e viceversa. Quello che tu dici, però, esula dal tema che io ho proposto. Infatti, se noti, nel forum mai io metto in discussione l'affetto del genitore nei confronti del figlio, ovviamente eccezion fatta per i genitori disastrati, ma di questi parlerò dopo. Per me dire che essere genitore implica essere strumentalizzatore (e questo "implica" può essere letto nel senso matematico) non significa affatto dire che il genitore non prova affetto nei confronti del figlio, né tantomeno che il genitore non si doni al figlio. Per me un genitore strumentalizza il figlio per il semplice fatto che lo costringe per natura a vivere secondo per secondo un periodo lunghissimo di totale dipendenza, che prende una porzione significativa dell'intero arco dell'esistenza. Da questo poi vengono tutte le altre conseguenze, e troviamo il genitore che impone al figlio certe scelte, incurante del fatto che la volontà di quest'ultimo sia differente, così come il genitore che mortifica il figlio tramite gesti o parole offensive, nonché punizioni, quando questi non fa quello che corrisponde alla sua volontà. Tutto ciò può essere fatto dal genitore in buonissima fede e per uno scopo giustissimo (ma non dimentichiamo che molte volte questi atti vengono commessi per scopi insignificanti o addirittura abietti), ma il figlio subisce, e questo lo mortifica. In questo senso parlo di strumentalizzazione. Lo capisco anch'io che in certi casi viene fatto a fin di bene, ma il destino del più debole resta comunque quello di subire. Tale condizione, poi, non dura breve tempo, ma al contrario accompagna l'essere umano per anni e anni, declinando un'intera fase dell'esistenza. E quando il figlio poi diventa adolescente egli inizia a sentire il desiderio di staccarsi, sente di essere pronto per ragionare con la sua testa e andare per conto suo, mentre non può assolutamente farlo, e questo aumenta la sua sofferenza. Io lo so perché l'ho provato, e ricordo bene come mi sentivo. Quindi, leo, nessuno mette in discussione l'affetto del genitore, ma questo non toglie che il figlio gli sia subordinato per lunghissimo tempo. Ho visto poi che tu non hai preso in considerazione il caso delle famiglie disastrate, ma guarda che questo aspetto non è affatto marginale, e anch'io conosco personalmente qualche caso. Quanto detto per un genitore normale, nel caso di un genitore disastrato si moltiplica migliaia di volte, e francamente generare una creatura per farne il proprio giocattolo vivente, come fa questo tipo di genitori, mi sembra una delle cose peggiori che esistano. In conclusione, leo, concordo abbastanza con quelllo che tu dici, ma ciò che io intendo mettere in evidenza è altro.
Vengo ora all'intervento di Geme. Molte delle cose che ho già detto per leo valgono anche per il tuo commento: è ovvio che certi atteggiamenti dei genitori sono in qualche modo necessari, ma non per questo costituiscono una mortificazione per colui che li subisce, e la durata nel tempo è veramente molto lunga. Per quanto riguarda l'aspetto professionale, anche se oggigiorno sempre più ragazzi studiano a lungo, ve ne sono anche molti che non fanno l'università, perché lo studio non è una cosa per la quale tutti sono adatti: lo studio spesso diviene opprimente, e richiede forme di costanza psicologica a volte davvero notevoli. Chiunque fa o abbia fatto l'università dovrebbe sapere bene che ci sono dei momenti in cui ti sembra di non arrivare mai al termine, e intanto tu hai già superato la ventina e non guadagni un centesimo: per quanto lo studio oggi possa essere una garanzia, ti consiglio di non sottovalutare questo aspetto. Vale inoltre quello che ho già detto altrove: vi sono dei diplomati che arrivano assai prima dei laureati, che già sono stabilmente inseriti nel mondo del lavoro con retribuzioni decenti, nello stesso momento in cui un altro magari non è ancora laureato. Con questo non cerco affatto di demolire lo studio, che talvolta può essere veramente molto utile, ma tu non proiettare tutto al futuro, pensa anche a oggi, che magari hai 26/27 anni e ancora vivi come se ne avessi la metà (e quanti lo fanno!). Inoltre non è affatto necessario, come dici tu, alzarsi alle 6 e lavorare fino alle 19 se non si studia, vi sono numerose condizioni intermedie, e a volte favorevoli. Infine, è certamente vero che il figlio che studia per il genitore è un onere, e nel momento in cui viene da questo mantenuto, il figlio deve accettare certi limiti, ma è vero anche che il genitore ha anche deciso di generare il figlio, e questo si è trovato al mondo in seguito a questa decisione: non sottovaluterei nemmeno questo aspetto della questione. Ora termino, anche perché non vorrei rischiare di diventare noioso. In ogni caso, se vorrete continuare a dibattere mi fate un vero piacere, perché questo argomento è per me fonte di numerose riflessioni, che molto volentieri condivido con altri.
grazie a te
Tomi, grazie a te per la tua costante presenza e partecipazione a questi spazi parrocchiali di discussione: si avverte molto silenzio, e il confronto e la discussione mi pare abbiano già di per se' valore ...
Nell'intervento cui ti riferisci ho volutamente privilegiato l'aspetto della centralità dell'amore nella famiglia. E non intendevo tanto e solo l'aspetto affettivo-emotivo, certo importantissimo ma che oggi rischia di essere anche troppo enfatizzato (e probabilmente frainteso). Intendevo anche una dimensione di amore-dono un po' meno romantica, espressa nella capacità di sacrificarsi per chi si ama: espressa ad esempio nell'amore della mamma o del papà che per mesi, nel cuore di ogni notte, passano ore a cercare di addormentare il loro bimbo che piange e grida senza sosta, o l'amore dei tanti figli che per anni danno assistenza ad un genitore anziano ammalato, o allettato, o con l'Alzheimer o comunque non più autosufficiente.
Queste cose si fanno per amore, non per affetto o gratificazione. E costano tanto sacrificio, un sacrificio spesso anzi totalmente privo di gratificazioni.
Mi chiedi altri ritorni.
Allora eccone uno (uno alla volta, altri potranno poi dire la loro ...).
Dici che i genitori STRUMENTALIZZANO i figli.
Ora, giacchè il dizionario mi suggerisce che "strumentalizzare" significa "considerare qualcosa o qualcuno come uno strumento, servendosene per i propri scopi", mi domando quale possa davvero essere questo scopo recondito per il quale i genitori metterebbero al mondo i loro figli. Nel passato i figli fornivano la mano d'opera per il lavoro della famiglia. Ma questo tempo - pur temporalmente non distante - pare oggi lontano millenni. Forse li mettono al mondo per il gusto di dar sfogo ad un insano desiderio di esercitare un'autorità arbitraria, illimitata e impazzita, trasformando i figli in una sorta di schiavetti da soffocare con mille regole e impegni assurdi? Mi pare uno scenario estremo anche per la letteratura fantascientifica... senza contare che ben presto proprio quei figli diventeranno a propria volta genitori.
In effetti poi precisi che "un genitore strumentalizza il figlio per il semplice fatto che lo costringe per natura a vivere secondo per secondo un periodo lunghissimo di totale dipendenza".
Beh... trovo abbastanza curioso imputare ai genitori la difficoltà dei figli ad emanciparsi e guadagnare la propria autonomia. D'accordo che questa è difficile da conseguire e che forse i genitori fanno davvero un po' troppo le chiocce coprendo senza limiti tutte le necessità dei figli, ma non credo sia colpa dei genitori se la strada dell'autonomia è tanto impervia. D'altra parte non credo che cacciar fuori i figli di casa per decreto fornirebbe una buona e automatica soluzione al problema. Anche se potrebbe essere una strada percorribile...
Credo che la tua provocazione possa piuttosto essere considerata per spingerci ad interrogarci tutti un po' meglio sul "desiderio"/"bisogno" di paternità e maternità. Che, hai ragione!, è sempre più citato e pubblicizzato in forma troppo egoistica ed egocentrica come una sorta di ipotetico "diritto al figlio".
Eppure secondo me nella maggioranza dei casi i figli sono desiderati in una maniera complessivamente sana e sono poi accolti come dono d'amore da accompagnare con altrettanto amore (nell'accezione ampia di cui sopra), impegno e pazienza.
Poi certo i genitori sbagliano, e anche tanto, con i figli! Più o meno però quanto sbagliano i figli con i genitori (certo questi hanno l'attenuante della più giovane età). Ma questi errori stanno nella natura di ogni relazione umana, e anzi è facile osservare che nel "mondo esterno" (passami il termine) le cose vanno mediamente molto ma molto peggio che nelle famiglie. Pensa solo ai banali e tanto turbolenti rapporti di vicinato, di lavoro (!!), al bullismo e alla stupidità nelle scuole, al nonnismo nelle caserme, ai tanti rapporti ipocriti di amicizia di pura circostanza oppure peggio usa-e-getta, alle vessazioni operate dalle organizzazione malavitose anche nelle nostre città, al racket della droga e della prostituzione, al terrorismo nazionale e internazionale, alle folli aggressioni belliche, all'intolleranza religiosa... mi fermo qui ma la lista pare davvero senza fine ... Tutti esempi di relazioni umane (intepersonali, sociali, politiche, religiose, etc.): tutte relazioni fragili, soggette all'aggressività, all'ipocrisia e alla violenza degli individui e dei gruppi.
Credo che tutto sommato, in questo scenario, la famiglia in fondo tenga ancora. Certo con fatica, un po' troppo frammentata e sfrangiata e con una discreta confusione dei valori di riferimento (qui sì si dovrebbe aprire un bel confronto davvero franco tra le famiglie...), ma credo che ancora regga.
E che tutto sommato sia la realtà che meno strumentalizza e più dona, spesso gratuitamente.
Quello che tu dici, leo,
Quello che tu dici, leo, devo dire che offre molti spunti di riflessione. Tu, in fondo, sostieni che i genitori procreano per donare amore gratuito, ma che comunque non mancano, nel passato o nel presente, molte macchie. Non siamo poi, in fondo, così distanti nelle posizioni. però sono convinto che se i figli iniziano a vivere veramente così tardi un po' sia colpa anche dei genitori. Sapessi quante volte ho detto ai miei: "e se mi cerco un lavoro, così posso andare fuori dalle scatole?", e loro mi hanno sempre detto di pensare a studiare, che i soldi me li danno loro. Non c'è nulla da fare, per loro resti un poppante fino ai 30 anni e oltre, non sono in grado assolutamente di comprendere un sano desiderio di distacco, e questo a mio modo di vedere è già strumentalizzare, poiché implica il desiderare che il figlio continui a dipendere da te anche se è grande. Anzi, i miei spesso mi dicono che dovrei frequentare un master, mentre io proprio non ne voglio sapere, perché ne ho abbastanza. Questo non comprendere un'aspirazione così sana a mio avviso è una grave mancanza, molto grave, e tantissimi genitori sono così. Ma vediamo il peggio: hai detto tu stesso che fino a non molto tempo fa il figlio era soltanto un mezzo per eseguire i lavori manuali: e questa non ti pare una strumentalizzazione? E non dimenticare che questo si verifica anche oggi in molte parti del mondo, come in America Latina, e io stesso qualche anno fa ho visto alla TV un documentario in proposito. Possiamo anche andare in alcuni paesi del medio Oriente, dove i genitori impongono alle figlie (e forse anche ai figli) di sposare una certa persona, e se queste trasgrediscono sono pronti anche ad ucciderle barbaramente: ricordi quello che è successo a Brescia nel settembre 2006, di quella ragazza pakistana uccisa dal padre perché voleva vivere all'occidentale? Lei inanto è morta, e se il delitto fosse accaduto in oriente, anziché da noi, ora il padre riceverebbe tutti gli onori, invece di essere in galera. Quindi, come vedi, il modello che tu stesso hai citato è ben lungi dall'essere solo un ricordo, e sono convinto che conflitti del genere siano numerosi anche nel nostro "civile" (ma non troppo) paese. E' senz'altro vero poi che vi sono istituzioni molto più feroci della famiglia, ma in queste istituzioni, almeno a livello teorico, una persona non è obbligata a viverci, mentre un figlio è obbligato a vivere nella famiglia che lo ha procreato, anche a livello giuridico, tant'è vero che il minore non può allontanarsi dalla famiglia senza il permesso di quest'ultima. Cosa può fare allora il minore che vive in una familgia disastrata, se anche la possibilità di fuga gli viene tolta, assodato che non è in grado di misurarsi corpo a corpo con la sua famiglia? Infine, quello che tu dici sul cacciare fuori casa è davvero interessante: sarei molto felice se esistesse una legge che impone al figlio, una volta 20enne, di uscire di casa e nello stesso tempo gli fornisce la concreta possibilità di sostentarsi con le sue mani: un paese così sarebbe molto civile, e coltivando i rapporti a distanza genitori e figli, paradossalmente, potrebbero riavvicinarsi ancora di più, poiché potrebbero rispettarsi meglio reciprocamente, favorendo il rinforzamento di quei legami affettivi sui quali tu tanto insisti. Ho cercato di essere un po' sintetico, trascurando forse alcuni punti, magari appena ho un po' di tempo dirò qualcosaltro.