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Storie semplici di ordinaria civiltà

L'intervento di Don Alberto sul testo dell'ultima canzone di Vasco Rossi (che non avevo ancora ascoltato!!) mi ha fatto ricordare l'intento di aprire questa sezione dedicata alla fiducia. Il mondo che vogliamo lo possiamo costruire.

Settimo racconto

Il pensiero ricorrente e sicuramente condiviso da molti, quando si sta affrontando il dolore della perdita di una persona amata è che non è difficile morire ma vivere. E la difficoltà di vivere sta nel fatto di essere sempre a rischio di sciupare il nostro tempo. 
La mia famiglia in questi giorni ha dovuto fare i conti con la morte che si è presa una persona molto amata. Ma non è della sua morte che voglio raccontare, ma di alcuni brevi tratti della sua vita.
Lo zio Giorgio è nato a Pinguente, un piccolo paese arroccato su un colle di quella che allora era ancora terra italiana, l'Istria. La guerra ha portato tutta la sua famiglia non solo al distacco da quella terra tanto amata ma alla dispersione dei suoi componenti tra campi profughi, per chi decise di rimanere in Italia, e tra i continenti del Mondo. Per lui, adolescente, fu possibile essere accolto al Collegio di Don Bosco a Verona. Parlava spesso del periodo trascorso al Collegio come di un periodo importante, ricco di esperienze in grado di formare. Non solo l'insegnamento scolastico, ma il teatro, la musica, l'arte. Tante volte gli ho sentito dire che se gli adulti non investono tempo con i giovani poi non si devono lamentare. Proprio per questa sua convinzione ha vissuto tutta la sua vita rendendosi disponibile agli altri ed in particolare ai giovani. Sposo, padre, uomo di grande talento, intelligenza e fede. La malattia, lunga e pesante, non è riuscita mai a fargli perdere la voglia di vivere e di dare il meglio possibile. Non le ha mai consentito di condizionargli l'esistenza. Ora, tutti noi che lo abbiamo conosciuto e abbiamo potuto condividere con lui buona parte della nostra vita siamo addolorati per non poterci più confrontare con passione, discutere direttamente, abbracciarci con affetto, ridere e soffrire ma siamo anche tanto più consapevoli di avere la responsabilità di non perdere la ricchezza di una vita, di doverla fare nostra nel disegno meraviglioso e impegnativo che Dio Padre ha per ciascuno di noi.

le persone che non dimentico

credo che la vita sia fatta tanto di questo, di persone e volti incontrati e che lasciano un seme profondo di senso e di significato... a ciascuno di noi sta il cogliere e l'accogliere il buono di questi incontri, farlo germogliare senza disperderlo. Sono tante le persone importanti della mia vita, e non è mai stata questione di lunga o breve frequentazione, di lunga o breve vicinanza. Così è stato con Giorgio, anzi con lo "zio Giorgio" perchè questo è il vero nome con cui l'ho chiamato e lo richiamo ancora oggi alla mia memoria. Non è stata necessaria una lunga frequentazione dello zio Giorgio per coglierne alcuni semi belli che provo a coltivare dentro di me: la risata aperta e franca, la schiettezza, la disponibilità e capacità di esserci sempre nei momenti che contano, la forza di non lamentarsi mai anche nella prova dura apprezzando una gita, un bel giro in bicicletta, un risotto in compagnia. E poi quante belle chiacchierate, grazie "nonno Edo" per quei bei pomeriggi soleggiati di primo maggio che mi hanno permesso via via di conoscere meglio lo zio Giorgio, ascoltarlo e confrontarmi un po' con la sua esperienza di vita vera, vissuta tra la gente e con la gente, memoria viva di un tempo in cui forse c'era più entusiasmo e voglia di costruire e ricostruire insieme. Chiacchierate senza venature di nostalgia ne' di idealismo astratto, lo zio Giorgio era piuttosto attento e acuto nel leggere il presente alla luce della sua esperienza e sensibilità, offrendo chiavi di lettura che meritavano sempre attenzione, approfondimento, rispetto. Anche quando mi sembravano distanti dalle mie. Soprattutto quando erano distanti dalle mie. Per poi scoprire che per chi crede nella vita, nelle persone, nei valori, nell'uomo, le distanze ben presto si assottigliano... Ciao zio Giorgio, e grazie di tutto !!!

Sesto racconto

Questo sesto racconto che vi propongo, è la storia di un rocchetto per macchina da cucire.
Forse sono in pochi a sapere che non vengono più fatti i rocchetti in acciaio, come un tempo per le vecchie macchine da cucire SINGER. Ricordo mia nonna quando estraeva la struttura a braccio dal mobile in legno che la conteneva; apriva l’anta anteriore e si infilava con le ginocchia pronta a pedalare per farla funzionare. Era così brava. E dopo di lei mia madre, veloce e precisa … ma questa è un’altra storia! Oggi, i rocchetti, come vi dicevo, non sono più in acciaio, ma sono di plastica. E così, può capitare di uscire dal lavoro e di incontrare sulla strada verso casa una cara amica che deve andare a comperare nuovi rocchetti per sostituire quelli consumati. E si sono consumati a forza di confezionare quelle cose meravigliose che poi ritroviamo durante la settimana missionaria, in vendita al mercatino per sostenere le attività nelle Missioni di Gighessa, Sao Mateus e Bangui.
Tutti quelli che frequentano il mercatino sanno bene che non sono presenti “rimasugli” dei quali ci si vuole disfare, ma lavori preziosi frutto di paziente e tenace lavoro… ma forse non tutti abbiamo realizzato per davvero quanto tempo è necessario per la loro realizzazione; così tanto da consumare i rocchetti per la macchina da cucire… e se venissero fatti ancora in acciaio non me ne sarei mai accorta neppure io!!
Cara Lucia, sono molto arrabbiata che il tempo stia segnando il tuo fisico, ma ringrazio Dio per la giovinezza del tuo sguardo, per l’operosità delle tue mani e per l’entusiasmo del tuo cuore che condividi con tante altre persone di buona volontà.     

Quinto racconto

Domenica all'uscita da Messa, ho avuto il privilegio di conversare con due care amiche e di poter ascoltare il recupero di un loro ricordo che mi permetto di raccontarvi per l'intesità delle emozioni che mi ha trasmesso.

Il ricordo risaliva ad alcuni anni fa, all'epoca in cui, entrambe, si erano conosciute in occasione delle terapie alle quali si dovevano sottoporre per affrontare il cancro. Il loro attualissimo e condiviso pensiero è stato che a dispetto della gravità e della pesantezza del momento, entrambe lo ricordavano come “un bel periodo”. Non nego che sono rimasta in religioso silenzio (... e non è da me!!) nell'attesa del “perchè” lo considerassero, nonstante tutto, in quel modo. La risposta non si è fatta attendere: non erano state lasciate sole e non si erano isolate nel loro dolore. Avevano saputo condividere e avevano trovato solidarietà e amicizia concreta. Si era attivata intorno a loro una rete che, giorno per giorno, le aveva accompagnate e sostenute.

Il racconto, leggero ed ironico, dei loro “viaggi” all'ospedale, è durato pochi minuti ... un tempo sufficiente per lasciare il segno.

Quarto racconto

Quello che segue, non è propriamente un racconto, ma poiché è una cosa che è molto piaciuta a me, spero possa essere di qualche interesse anche per altri.
La “cosa” è una riflessione sugli aspetti del gioco del calcio proposta da Don Alessio Albertini della Diocesi di Milano nel corso di un recente incontro pubblico. Don Albertini ha sintetizzato gli aspetti del calcio in otto punti:

  1. gioca per giocare, ovvero divertiti.

  2. ascolta il tuo corpo, non andare cioè mai oltre al tuo limite.

  3. stringi la mano, riconosci sempre l’avversario nel suo valore. L’avversario è il compagno di giochi. Se non ci fosse non potresti giocare e non ti divertiresti.

  4. gioca pulito, rispetta le regole. Si parte tutti da zero, alla pari. Si può avere fiducia gli uni degli altri perchè nessuno parte avvantaggiato.

  5. fai il fuoriclasse, ovvero la spettacolarità non è andare in porta con un uomo a terra, ma non andarci proprio perché c’è.

  6. non mollare mai, mettercela comunque sempre tutta. Si gioca per vincere. Ma si sa perdere. La vittoria è sempre su se stessi, sulla capacità di superare le proprie pigrizie.

  7. tutti per uno, il talento è al servizio della squadra.

  8. fa la cosa giusta, ovvero rendi felici gli altri. La tua fortuna di poter giocare perché sei in salute, sei forte, non ti faccia dimenticare i bisogni degli altri. Crea tutta la felicità che puoi.

Ora, sarà perchè mio figlio gioca a calcio, sarà perchè il calcio è un gran bello sport... sarà perchè la vita è un grande gioco di squadra, mi fa piacere che lo si possa intendere così.

 

Con Don Alessio Albertini cartellino rosso al veleno dello sport

E' vero: il calcio è uno sport che come altri unisce e aggrega chiunque: bambini e ragazzi da 0 a 99 anni (l'iperbole è voluta). Purtroppo la pubblicità che il calcio (quello dei "vips") in questi anni sta propinando è quella di un grosso giro di denaro, senza scrupoli nè regole se non quella della Preistoria: pesce grosso mangia pesce piccolo. Sembrano frasi fatte del tipo "non esistono più le mezze stagioni" - e magari fosse così. Onestamente non provo più quel gusto e quell'attesa per la partita domenicale della squadra del cuore e questo è molto "triste" per un appassionato amatore (nel senso di dilettante) del calcio come me. Ho assistito anch'io al meritorio intervento di Don Alessio e mi ha veramente impressionato. In otto punti ha riassunto l'essenza reale del gioco del calcio (e non solo del calcio ma anche degli altri sport) e ci accorgiamo che non è un "pallotto" (come lo definisce lui) valido solo per i calciatori, ma sono convinto che sia una versione "naif", ma assolutamente azzeccata, dei concetti che Mosè, tempo addietro (prima che in Inghilterra nascesse il football), si ritrovò in mano e di cui ancora oggi si legge sulle Scritture. Da modesto arbitro che calca i campi provinciali ho notato sopra ad ogni altra cosa l'ostilità, la diffidenza, la mancanza di fiducia verso gli altri: arbitro, avversari e pure compagni; assieme al rifiuto cronico della sconfitta e al tentativo di eludere le regole, che ormai non fa notizia tanto è permeato nella nostra cultura, tant'è vero che se un calciatore riesce a fregare l'arbitro gli fanno pure i complimenti (ed è gravissimo secondo me). A ciò aggiungo l'astio tra pubblico di parti avverse, ancor peggio tra i genitori assatanati contro l'arbitro e tra loro: un far west! Ciononostante amo giocare al pallone, amo questo sport e non serve avere milioni per divertirsi appieno in compagnia dando due calci al pallone facendo magari irritare qualche signora investita del ruolo di raccattapalle nel proprio cortile dopo diversi tiri decisamente a banana. Sport è unione e divertimento e ciò che Don Alessio promuove tra i giovani della sua comunità è encomiabile: dobbiamo imparare ancora molte cose........grazie per aver riportato il "Pallotto", è un ottimo spunto di riflessione!

Sembra banale...

... perchè in effetti leggendo questi otto punti proposti da don Albertini, sembra che sia normale approcciare lo sport e tutto sommato anche la vita in questo modo! Invece poi, quando ci si trova nelle singole situazioni, manie di protagonismo, egoismo, la ricerca della vittoria a tutti i costi... non è poi così semplice applicare questi principi.

Grazie Mariangela e grazie don Albertini per una riflessione semplice che può aiutare molto nell'affrontare lo sport e la vita in modo positivo!

Terzo racconto

Questo terzo episodio, racconta di come è possibile trasformare un momento sterile della propria vita professionale in qualche cosa di importante non solo per sé, ma per molti altri, con una forza travolgente, coinvolgente. 

Quante volte è capitato a ciascuno di noi di avere un forte dolore all’imboccatura dello stomaco al mattino, proprio in coincidenza con il momento dell’ingresso al lavoro. E non perché il nostro lavoro non ci piaccia. Al contrario, ci piace e ci interessa così tanto da non sopportare che venga trattato male, con disattenzione, superficialità, indifferenza proprio da parte di chi dovrebbe averlo più a cuore … il proprio datore di lavoro, principalmente. 
Questa è la storia di una persona, donna, madre e sposa, che, a dispetto della molta disattenzione che la circondava, è riuscita a trovare il modo per sviluppare un pensiero, una idea e l’ha trasformata - con le giuste e competenti collaborazioni - in un progetto concreto per i ragazzi delle scuole medie e superiori della città (e non solo). Ha investito in questo progetto - con quella caparbietà che può sostenere solo ciò che si ritiene cosa molto buona - energia, tempo, passione con i quali è riuscita a coinvolgere, alla fine e come punto di rilancio, un mondo che poteva sembrare inarrivabile… quello mediatico/sportivo. Dove per inarrivabile mi riferisco non solo al fatto che nell'immaginario (temo piuttosto realistico) normalmente giornalisti “gettonati”, sportivi e responsabili di grido si muovono in presenza di interessi molto forti (economici o di potere) ma anche che difficilmente ci si può aspettare riconoscano la propria responsabilità educativa nei confronti delle giovani generazioni e accettino di mettersi in discussione. 
Mantova, ha avuto così il privilegio, pochi giorni fa, di ospitare un momento di riflessione importante su cosa significa essere modelli educativi (o più spesso, diseducativi) che consentirà, grazie al grande interesse suscitato, di riproporre ed addirittura ampliare l'esperienza fatta.

Ci sentiamo ripetere da Don Alberto quasi in ogni predica domenicale, fino allo sfinimento (suo!!), che il nostro essere cristiani riparte il lunedì e ogni giorno a venire, per ognuno, nel proprio ambiente di relazione. Ci viene ricordato di essere, con grande semplicità,  "solamente" coerenti... l'esperienza che ho raccontato ci dice che questo è possibile e quindi non mi resta che augurarci BUON LAVORO !!!

Secondo racconto

 La storia – molto recente - che ora racconterò riguarda una giovane donna. Mi asterrò dal commentare (o almeno ci proverò) per lasciare il più ampio spazio al pensiero personale.

Dopo aver terminato brillantemente gli studi universitari la nostra protagonista lascia il suo paese di origine, nel centro/sud del Paese, per un lavoro offerto al nord, in Emilia. Tanto lavoro – di qualità e quantità -, orari “flessibili” e stipendio “fisso” (ovvero pagamento dello straordinario non previsto), ferie a scelta del datore di lavoro, allo scadere del contratto di due anni la previsione di diventare “socia” dell’azienda… (commento: la mia fortuna!!!). A queste condizioni non resta che tentare di trovare qualche cosa di migliore. Si tratta di una giovane donna innamorata che pensa ad una famiglia, a dei figli, non può ipotizzare di trascorrere la vita girovagando per il mondo, migrando da un posto ad un altro. E così decide di rispondere ad una offerta di lavoro da questo posto sonnacchioso che è Mantova. La sua professionalità e il suo modo di fare, umile e determinato, è tale da non lasciare dubbi su chi la sta selezionando e che poi dovrà lavorare insieme a lei a un progetto ambizioso ed impegnativo.

Ora, questa preziosa collaboratrice, collega ed amica sta per sposarsi. Le sarà chiesto un grande sacrificio perché andrà ad abitare lontano dal suo posto di lavoro… per ora. Ma chissà che cosa le riserverà il futuro!!!

Intanto possiamo augurare a lei, e ai tanti giovani come lei che nonostante tutto non si lasciano condizionare la vita dalla “precarietà”, di continuare ad avere fiducia e a trovare la voglia e la forza di costruire la propria storia perché posta al sicuro dentro allo sguardo amorevole di Dio che l’avvolgerà per tutta la vita…

grazie

Davvero grazie Mariangela per il tuo generoso sguardo sulla vita, che ci passi con tanta affabilità. E grazie per ricordarci quella fede che ci pone "al sicuro dentro allo sguardo amorevole di Dio". Il Dio che non fa le nostre veci, ma che sostiene il nostro impegno e, quando richiesto, il nostro sacrificio di vivere.

primo racconto

 

Nel grande condominio nel quale abito e che nella teoria risponde a tutti gli stereotipi del casermone di periferia, succedono, nella realtà episodi di vita quotidiana molto interessanti che vi racconto con piacere.

Il luogo, non particolarmente poetico, nel quale è più facile incontrare le persone è il cortile antistante i garage. C’è chi va a prendere la bicicletta, chi l’auto, chi scarica spesa o bagagli di varia natura ma molti trovano il tempo per un saluto ed un momento, a volte più fuggente a volte invece più rilassato, per scambiare di buon grado qualche parola. Sino a qui, niente di che. La cosa però un po’ speciale di questo “luogo” è la presenza quasi quotidiana di tre signori che, ciascuno nel proprio garage, lavora a porte aperte.

Uno è ingegnere balistico e ha un “laboratorio” che ricorda quello di “Doc” di Ritorno al Futuro. Un altro, in uno “studio” molto ordinato, si diletta nella riparazione di ogni oggetto possibile. Infine, un terzo si cimenta nella costruzione di velieri in miniatura.

Lavorano, come vi dicevo, a porte aperte e non si scocciano affatto se ci si intrattiene con loro per rispondere a quel bisogno di colmare la sana curiosità rispetto a quello che “combinano” e che, in fondo, rende anche il loro operare importante e interessante …