MAPPE COGNITIVE - il più recente percorso artistico di Nicola Dusi Gobbetti
MAPPE COGNITIVE
Oso addentrarmi in una regione che non mi è familiare, quella dell'arte contemporanea; tanto più complessa quando si tratti di avvcinarsi all'esperienza artistica di un uomo come Nicola Dusi Gobbetti, noto ai parrocchiani per aver dipinto alcuni anni fa le tavole dell'ambone e dell'altare della chiesa di S. Egidio. Non mi sottraggo al tentativo non solo per l'amicizia che mi lega a lui e alla sua famiglia, ma anche perché il suo impegno e le sue ricerche richiamano l'attenzione. Le sue ultime esperienze sono raccolte sotto il nome di Mappe Cognitive; una di queste tele mi è stata donata, e ora è sotto i miei occhi; altre si trovano fino al 14 aprile presso il museo diocesano di P. Virgiliana.
Può sembrare banale, ma si tratta di tele, di un tessuto, alquanto irregolare, puoi tirare facilmente qualche filo esterno; del resto sul retro leggo proprio 'lenzuolo'. Su di esso viene steso o impresso del colore, rosso, di cui leggo che si tratta di 'smalto'. Mi sembra di vedere l'artista nell'atto di stenderlo (Action Painting): il lenzuolo e lo smalto, in modo tale che risultano indistinguibili; infatti puoi trovare zone intensamente rosse in modo quasi omogeneo e altre quasi candide, divenute via via rosa, perché lì vicino c'è del rosso, intenso. Cosicché alla fine il colore è più omogeneo di quanto possa apparire all'inizio, una contaminazione costante, spesso ottenuta attraverso minuti punti di colore.
Ma una tela richiama i fili, e fili non sono solo quelli della tela, ma anche del colore; non i fili regolari del tessuto, ma quelli dei neuroni, del cervello, e, secondo la toponomastica moderna, della conoscenza umana. Ma perché la conoscenza umana è cerebrale, e perché il cervello diventa fili? Penso che Dusi cerchi di annodare non i fili neurologici dell'organo cerebrale, ma quelli antropologici di un'esperienza sempre in movimento, in con-tatto, in ricerca.
Dov'è il disegno, ma c'è un disegno? Il disegno devi ricostruirlo tu che leggi l'opera, o meglio tu che ti lasci colpire dall'opera. Mi pare che Dusi ponga questa provocazione: forse tu pensi di essere senza colpa? Ebbene io ti assesto un colpo deflagrante che scompiglia il disegno; ricostruiscilo per superare la colpa.
Non è un caso che in una tela si legga distintamente una croce, al cui centro sta un lino in forma di trapezio; in altra opera si intravede l'immagine sindonica, in altra chiazze di sangue (perché sangue è infine quel rosso) da cui spuntano chiodi; la figura c'è, distrutta, segnata solo dal colore. Tornano alla mia mente i primi schizzi pittorici di Vasily Kandinsky, in cui i colori guidano a costruire o ricostruire la figura, che non è già offerta allo spettatore, ma insinuata ed evocata. Insomma devi camminare, ma non verso l'astrazione (che non è mai una meta), bensì verso la concretezza, anzi verso la materia, che tuttavia va guadagnata e in nessun modo è già offerta (meno che mai dalla scienza empirica, neuronale – attenzione all'ironia!) in un mondo in cui, come nel cervello, tutto è connessione, e tutto è sconnesso; tutto è sangue, ma sangue sparso? donato ? sciupato? sofferto?
Penso che l'opera di Dusi in questo momento del suo percorso artistico lanci una sfida, quasi un grido, a ricostruire quel mondo umano che, nella sua mortalità, è, secondo l'espressione biblica, carne e sangue, racconto filato e filo spezzato, mappa per una conoscenza a–venire.
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se l'intento ...
... era (anche) quello di stimolare la curiosità dei lettori, invogliando a vedere e gustare di persona le opere, credo che l'intervento abbia colto nel segno.
L'ideale senza dubbio è di recarsi personalmente al Museo Diocesano (entro il 14/4), ma per chi abitasse lontano o proprio non potesse, ecco di seguito qualche immagine per dare un primo "corpo" grafico alla lettura proposta dal don Alberto...