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Il mondo del lavoro oggi

RUBRICA – I GIOVANI E IL LAVORO – a cura di Cesare Signorini


CARI GIOVANI, CREATE IL VOSTRO FUTUROL'esortazione di Umberto Rizzini intervistato da Diapason: "Siate intraprendenti: informatevi, cercate, ideate: solo così potete farvi spazio nel crudele mondo del lavoro"


Questa rubrica si pone l'obiettivo di analizzare la difficile e fragile sinergia che lega il giovani del nostro tempo con l'impervio e claudicante mondo lavorativo. In redazione ci ha raggiunto l'Ing. Umberto Rizzini, membro del Consiglio Pastorale della nostra parrocchia, che ha condiviso la sua esperienza maturata sul campo, al fine di proporre ai giovani alcune considerazioni e soprattutto saggi consigli. Già insegnante in un istituto professionale, conduce ora una attività di programmazione di software personalizzati per le aziende, di cui è responsabile. Cosa ti piace del tuo lavoro? Conduco questa attività da molti anni e mi è sempre piaciuto creare, fare, sia cose pratiche che prodotti virtuali, come ad esempio i software che progetto. Come ti sei introdotto nel mondo del lavoro? Mi sono sposato dopo la laurea, senza ancora un lavoro stabile e certo. Non ero spaventato, perché allora, dopo l'inevitabile gavetta, il titolo di studio specializzato garantiva un impiego stabile. Diventai insegnante e contemporaneamente lavoravo in proprio nello studio di programmazione. Col passare del tempo, il portare avanti due lavori e farli bene entrambi era diventato inconciliabile oltre che troppo assorbente rispetto alla famiglia, per cui decisi di abbandonare l’insegnamento, nonostante mi desse soddisfazione, ma fu una scelta azzeccata. Adesso come vedi la situazione dell'introduzione nel mondo del lavoro? Al giorno d'oggi purtroppo viviamo in una forte instabilità di impiego, dovuta a diverse concause, tra cui inconfutabile fenomeno recessivo degli ultimi anni. Le certezze sono limitate ed è obiettivamente problematico per un giovane, terminati gli studi, progettare un futuro, anche in vista di un matrimonio. Se quando terminai io l'università ci si sposava anche senza un lavoro stabile e certo, ora non è più così semplice, purtroppo. Questo sta portando ad una dilazione notevole dell'età in cui le coppie decidono di sposarsi. Ci sono differenze, secondo la tua esperienza, tra giovani non diplomati, diplomati e giovani laureati nell'approccio alle attività lavorative? Credo che per i lavori – passatemi il termine – più "umili" – quelli per i quali non serva specializzazione accademica per intenderci – la tendenza sia a formare più contratti e più stabili, mentre per un giovane laureato si prospettano in maggioranza contratti a progetto o a tempo determinato: questo svincola le aziende, che possono agire così con maggiore flessibilità e comodità. I contratti a tempo indeterminato infatti non sono scindibili se non con iter burocratici lunghi e di nebulosa risoluzione. E in questo contesto, qual è il ruolo della famiglia? La famiglia tende a conformarsi all'idea di un contratto a tempo determinato. Mi spiego: l'instabilità economica e di impiego tendono a portare le famiglie, oltre che a formarsi più in là nel tempo, soprattutto a rinunciare a mettersi in gioco ed alla prova. Per questo motivo il fenomeno delle coppie non sposate sta dilagando nei tempi odierni. La corresponsabilità è il fulcro del matrimonio cristiano, molto più marginale in un rapporto di semplice convivenza. Cosa consiglieresti ai giovani per farsi spazio nel mondo del lavoro? Innanzitutto che non sperino di ricevere dal cielo contratti a tempo indeterminato perché è praticamente impossibile. Anzi, che si ingegnino, si rimbocchino le maniche guardando ad esempio ai concorsi pubblici, informandosi, perché il lavoro deve essere cercato con costanza. Per i giovani laureati, il lavoro va creato. Ai miei tempi la laurea conferiva la serenità che un lavoro ci fosse, ora è tutto diverso. Il lavoro è difficile da trovare e spesso malpagato, almeno agli inizi. Quindi come interpreti questa frase pronunciata da Steve Jobs in un incontro con un'aula piena di studenti: "Il lavoro riempirà gran parte della vostra vita e l'unico modo per essere veramente soddisfatti è quello di fare quello che pensare sia il lavoro migliore. Amate quello che fate". Secondo te è una frase utopistica e sognatrice inconciliabile con la realtà attuale dei fatti? Secondo me Jobs voleva intendere che il lavoro debba essere ingegnato, creato anche dal nulla. Bisogna mettersi in gioco ed alla prova, non basta guardare e cercare passivamente. Chi ha la fortuna e la possibilità, nonché l'abilità, di poter studiare e specializzarsi, deve mettere a frutto i suoi talenti e i suoi studi, le nozioni acquisite ed essere intraprendente. È l'unico modo per avere gratificazione in ciò che si fa. Ultima domanda: cosa può essere fatto dal mondo politico per promuovere il mercato del lavoro oggi in Italia? E cosa invece lo danneggia? In Italia non viene, a mio avviso, tutelata la realtà industriale. Lo stato non deve consentire l'esproprio della forza lavoro in altre realtà dove essa la si possa trovare a prezzo minore. Molte piccole e medie realtà hanno dovuto capitolare di fronte a questo fenomeno. Ma anche la FIAT, ad esempio, demanda la produzione ai paesi esteri, a differenza della Germania che ha investito su giovani laureati tedeschi per portare avanti, ad esempio, i colossi Bosch e Volkswagen. Inoltre esiste una problematica fondamentale: ossia l'eccessivo "consumismo": creare continuamente cose nuove, con limitato discernimento, quando si potrebbero impiegare energie e forza lavoro per rimettere in funzione ciò che già è presente sul territorio. Per esempio perché consumare ulteriore territorio per costruire nuovi capannoni o case quando si potrebbe ristrutturare quanto già presente e non più utilizzato? Meno sprechi e più lavoro: ma questo è un passaggio culturale.

Due riflessioni su lavoro e giovani

Ho molto apprezzato l'intervista di Cesare a Umberto Rizzini, leggendo la quale ho fatto un paio di riflessioni tra le molte che possono nascere, e che propongo ai visitatori del sito, per proseguire una ricerca molto importante, anche per i ragazzi e i giovani che fanno riferimento alla comunità. Il mio intervento si muove su una linea prevalentemente educativa. La prima riflessione riguarda l'importanza di educare ed educarsi a lavorare in squadra, o équipe, o team che dir si voglia. Il lavoro di squadra comporta una serie di virtù molto importanti per ogni persona, come: fiducia reciproca, confronto con altri punti di vista, proposta di una propria visione, coraggio di esporsi e proporre, coerenza dell'impegno, riconoscimento dei propri limiti e delle realizzazioni altrui, fedeltà a una ricerca e a un progetto comune, visione del lavoro come bene comune e non solo individuale, capacità di mediazione, e non da ultimo una certa amicizia, ecc. Progetti importanti oggi passano spesso attraverso gruppi, anche se poi i media si appropriano di un nome e di un volto solo. La seconda riguarda un pò di storia. I nostri ragazzi e giovani sono nati con la camicia, come si diceva anni addietro, ossia sono cresciuti in un contesto di benessere. E' importante ricordare loro che questo benessere, come ricorda Rizzini, non è piovuto dal cielo, ma è stato guadagnato dalle generzioni precedenti, che hanno sudato per sé, la famiglia e la società. Sarà bene che genitori e nonni raccontino, senza minimizzarli, quei sudori e quelle rinuncie. Anche ai giovani di oggi la fatica non può essere risparmiata; sarà diversa da quella di genitori che hanno cominciato a lavorare a 10 o 12 anni, sarà quella di uno studio concentrato e ben finalizzato, sarà quella di una formazione permanente, sarà quella di una relativa incertezza (pur dentro un generalizzato relativo benessere), sarà quella della condivisione del bene del lavoro e del bene del cosiddetto tempo libero, ecc. Insomma credo che sudare e anche tribolare, così come rinunciare e fare sacrifici (selezionare i consumi, come suggerisce Rizzini) faccia parte della vicenda di una persona serena, libera e matura, responsabile di sé e per gli altri. In chiusura invito gli animatori a riprendere e sviluppare le riflessioni di Rizzini, per arricchire di prospettive concrete la loro proposta educativa.

 

 

Mantova perde le industrie ... una riflessione

 

... Purtroppo i timori si sono concretizzati, o si stanno concretizzando, e questo significherà sofferenza per molte e molte famiglie mantovane, ulteriore lacerazione per un tessuto che si va’ sfaldando sotto i nostri occhi. Perché non è in crisi solo un’azienda, è in crisi un modello di crescita e sviluppo cui più o meno tutti, più o meno consapevolmente, abbiamo dato fiducia credito negli scorsi decenni, e che sempre più invece evidenzia pesanti limiti e falle. Che sono palesi nello strapotere delle società multinazionali che desertificano senza pietà e vincoli territori e realtà locali, supportate da modelli di globalizzazione selvaggia. Nell’introduzione massiccia di tecnologie che sta spostando drasticamente gli equilibri del mercato del lavoro, senza che questo sia pensato in un quadro più ampio e politicamente gestito. Grazie anche a tutti noi che, piaccia o non piaccia, volente o nolente, negli anni abbiamo accettato e acquisito in massa modi di vivere, pensare, consumare, gestire tempo e denaro discutibili e senza precedenti. In realtà in questi anni stiamo riscoprendo che tutto ha il suo prezzo. Solo un’accorta, paziente e illuminata regia politica potrebbe pian piano instradare le cose verso una dimensione di concreta sostenibilità e di senso ma purtroppo, certamente in Italia ma poco anche altrove, si preferisce mantenere la navicella sulla sua rotta fingendo di ignorarne le dolorose conseguenze …

... perché il cristiano sappia guardare anche i momenti difficili “con gli occhi di Cristo”, per provare in questo modo a dare senso, luce e prospettiva alle vicende della vita. ...

Immagini... pensieri e parole

I lavoratori di varie realtà produttive mantovane pongono all'attenzione della città il problema del lavoro...

 

Qualche stralcio del documento di "Codice Etico" del Gruppo multinazionale MOL ...

 

Il migliaio di lavoratori mantovani si porta dalla zona industriale fino al cuore della città ...

 

Un filo di speranza...

Sabato, camminando sotto un cielo di un azzurro non comune per Mantova, ho visto tanti volti, tante persone, tante storie... ho visto tanti occhi che cercavano reciprocamente contatto, solidarietà, vicinanza... ho visto sguardi delusi perchè non era presente qualcuno che ci si aspettava di vedere, e sguardi soddisfatti perchè si individuava qualcuno che magari non ci si aspettava e invece era lì a portare la sua testimonianza di solidarietà...
Ho visto amici di una vita e persone appena conosciute, coppie i cui componenti lavorano entrambi nelle aziende in crisi, persone che pensano di andarsene, di emigrare, di farsi una vita nuova...
Ho visto giovani destabilizzati dall’invisibilità dell’orizzonte, ho visto persone troppo giovani per pensare a una pensione e troppo vecchie per avere ancora uno spazio nel mondo del lavoro...
Ho visto bambini per mano ai loro genitori che stanno per perdere il lavoro...
Ho visto anche pensionati, gente cresciuta dentro un’azienda che prima di questi ultimi 5 anni considerava i suoi dipendenti “persone” e non pedine, parte di un ingranaggio che aveva bisogno proprio di loro per andare avanti e crescere floridamente.
Ho visto tante, troppe facce della nostra Parrocchia, con un sorriso sul volto per farsi coraggio e il cuore tirato...
Ho visto persone che hanno sviluppato un orgoglio, un senso di appartenenza, guadagnato ogni giorno e sempre faticoso, perchè lavorando in una raffineria, agli occhi della gente, fai sempre parte di un meccanismo scomodo, negativo, che inquina, che porta problemi. Perchè come sempre, tutti vogliono tutto, l’energia, il riscaldamento, il benessere, purchè gli effetti collaterali siano lontani, invisibili. Ed è questo il principio che porterà via la raffineria da Mantova, perchè si andrà a produrre dove non ci saranno regole da rispettare, nella logica di continuare a sfruttare questo povero mondo a proprio uso e consumo senza preoccuparsi di niente... come se gli effetti nefasti di questo modello non fossero già ben visibili a tutti.
E’ difficile dire cosa ci aspetta e come sia giusto agire perchè le cose inizino a cambiare in profondità. Tutte le parole sentite in questi anni, mai seguite da fatti concreti, hanno portato il nostro Paese a non essere padrone di se stesso. Non c’è un persona, una istituzione, nella piramide che va dal livello locale mantovano, fino a Roma, che possa dire di avere una responsabilità e una leva reale per cambiare le cose. Ciò vuol dire che le leve sono altrove. Siamo terra di conquista per chiunque, senza leggi e senza regole, pensi di appropriarsi del nostro destino per farne ciò che vuole. Ci sarebbe di che disperarsi.
Ma in questo scenario, che tocca tutti a cascata, creando disagi, preoccupazioni e povertà ovunque, togliendo dignità e speranza a chi non potrà più alzarsi alla mattina per andare a guadagnare il suo pane quotidiano, c’è un filo di speranza che si possa agire con logiche diverse, che si possa essere incisivi anche con il proprio comportamento, che si possa finalmente essere comunità che guarda al bene comune e non somma di individui l’un contro l’altro armati... io intravedo questo filo di speranza in Papa Francesco, che finalmente sta tracciando una via che possiamo seguire, che sta dando un esempio pratico e concreto, che - nonostante la complessità del mondo in cui viviamo - sta facendo seguire alle parole i fatti, piccoli e grandi. Questi mesi di pontificato sono stati aria fresca, da respirare a pieni polmoni. E in un momento in cui l’aria che si respira qui è davvero pesante, credo sia davvero la mano del Signore che si sta tendendo verso di noi...

Speranza

Le difficoltà delle famiglie mantovane sono il paradigma delle sofferenze di tutto il Paese.
La parola di Francesco e' balsamo per i cuori feriti e linfa per le vene esangui.
Troverete la via nuova perché c'è, e' tracciata. Auguri, CristinaB, con affetto, auguri a tutta la comunità che soffre il disastro della raffineria. Forza. Ce la faremo

... speranza che unisce.

Ho poche parole di fronte a questi eventi che toccano le famiglie di Mantova, anche perché da un lato conosco i volti di alcuni che subiscono questa situazione e a loro sono vicino, dall'altro mi sono lamentato della situazione ambientale di Mantova, puntando il dito verso la zona industriale, quindi anche contro IES/MOL, sebbene non con l'obiettivo della chiusura delle aziende lì operanti, bensì con la speranza che i proprietari fossero sollecitati a fare tutto il possibile (entro i limiti di legge) a far convivere rapidamente le necessità della produzione con quelle dell'ambiente circostante (salute degli uomini compresa). Non è facile, spesso partiamo da ritardi ampi. Si cercano sempre i colpevoli in queste situazioni, pensando in genere agli altri, invece mi sento anch'io colpevole. Forse senza quelle pressioni.... Ora la realtà è questa e qualcosa va fatto da qui. Voglio quindi riprendere le riflessioni di Cristina di oggi e di don Alberto di qualche tempo fa: il vedere un filo di Speranza e il riorientare i nostri comportamenti verso una maggior semplicità e concretezza, aumentando la sensibilità verso il Creato che ci circonda, prime fra tutte le persone, come ci ricorda papa Francesco. Con la fiducia che alzando lo sguardo...

Impegno nel piccolo per cambiare...

Carlo, non può esserci colpevolezza nello schierarsi a favore di un risanamento ambientale che è nell'interesse di tutti, anche certamente dei lavoratori che passano svariate ore dentro gli stabilimenti, a stretto contatto con tutte le emissioni. Ma il piano del confronto non può essere tra l'interesse a non morire avvelenati e il diritto al lavoro... Per questo bisogna lavorare a livello di sistema. Non dovrebbe essere consentito ad imprenditori stranieri di entrare in Italia e fare ciò che vogliono. Occorre stabilire regole chiare e ineludibili. Ma invece non c'è strategia, non c'è pianificazione, non c'è visione nel medio lungo periodo. Si agisce sempre sulla base di un'emergenza, con interventi tampone, senza avere per nulla chiaro dove si vuole arrivare. E infatti siamo a questo punto... La sofferenza più grossa è sentirsi totalmente impotenti di fronte a qualcosa di più grande, per questo intravedo l'unico spiraglio nel cominciare a cambiare le logiche nel piccolo... Coscienti che i tempi di cambiamento saranno comunque lunghi, ma bisogna partire in fretta perché, come dici giustamente, siamo già in grave ritardo... E se proprio vogliamo dircela tutta, il tuo impegno civile, portato avanti con equilibrio e discrezione, è già una grande testimonianza, altro che colpevolezza...

Il vescovo: "Mi sento sconfitto anch’io"

[Fonte: Gazzetta di Mantova, 07/10/2013]

 

È una delusione immensa. Si continua a dire che siamo vicini alla ripresa ma sono solo parole che non rispondono alla realtà». Balle, in sostanza. Non nasconde l'amarezza, il vescovo Roberto Busti, che pur lontano da Mantova in questi giorni, si tiene aggiornato in tempo reale della situazione della IES e al rientro vuole incontrare i lavoratori. «A loro vanno i miei pensieri» precisa monsignor Busti, che ricorda la litania sulla ripresa economica, «che poi diventa ripresina» prevista per la fine dell'anno.

«Ci riempiono la testa di parole, non è pensabile, è disonesto continuare a sentire frasi che inducono all'ottimismo per poi prendere queste mazzate». Il ricordo recente del vescovo è per i fatti della cartiera Burgo, «in cui siamo rimasti tutti con il cerino in mano, dalle istituzioni, ai sindacati, agli operai». Una vicenda molto amara che ora replica, «con altre centinaia di persone che perdono la speranza. Ma perché, io mi chiedo, non ci dicono qualcosa di vero? Non è tollerabile che si assista ancora a questi soprusi».

Le sue parole vorrebbero non limitarsi alle dichiarazioni di solidarietà, «vorrei fare tutto quello che mi è possibile, ma qui c'è un muro che sembra impossibile da scavalcare». Poco spazio per l'ottimismo: non è uomo da frasi di circostanza, monsignor Busti. «Ci rendiamo conto di quante famiglie mantovane resteranno a piedi? Riusciamo a pensare cosa significa questo per la nostra città? Come faremo?» Domande a cui il vescovo fa fatica, in questo momento di rabbia, a trovare risposte. «Dobbiamo muoverci tutti, dal Comune, alla Provincia, alla gente, nessuno si dovrebbe tirare indietro. Per ora io voglio esprimere la mia partecipazione, donare un po' di forza e affermare la mia empatia per queste persone, ma devo ammettere che oltre a provare rabbia mi sento sconfitto anch'io, perché ancora una volta le scelte vengono fatte sulla pelle delle persone». Che meritano gratitudine: «L'azienda ha guadagnato negli anni anche, e soprattutto, grazie al lavoro della gente, e in certi momenti dovrebbe anche pensare a ricambiare. Comunque io invito gli operai a tenere alto lo spirito, anche se so benissimo che è molto dura. La fede? Deve spingere a fare il proprio dovere e ad avere ben chiari e propri diritti. Perché avere fede non significa accettare secchiate di acqua gelida sulla testa».

Il Vescovo Busti: «Le risorse sono le persone»

[Fonte: Gazzetta di Mantova, 12/10/2013]

Vero, il sentiero è stretto e la lotta impari, ma ai lavoratori della raffineria non piace sentirsi ripetere ad ogni occasione pubblica che la loro partita si gioca altrove, «a un livello più alto». Che gli amministratori locali «sono poca cosa» rispetto a dinamiche che gravitano intorno a interessi siderali. Questo lo sanno pure loro, ma dalle istituzioni vorrebbero più cuore, passione, sentimento. Vorrebbero credere ancora che «il Davide può riuscire a sconfiggere il Golia», come scandisce sul palco del Bibiena Francesco Nizzoli della Rsu della Ies (Femca Cisl). E come ripete il suo collega Stefano Lodi Rizzini (Filctem Cgil), che sollecita le istituzioni a pretendere la responsabilità sociale di queste multinazionali dall’etica elastica.

Per questo il “vincitore” morale del consiglio comunale aperto è il vescovo Roberto Busti, che pure si dice sconfitto sotto il peso di una crisi che ha rovesciato l’orizzonte di senso del lavoro («le vere risorse sono le persone»). Il monsignore che indossa al collo il cartello “Sono una risorsa non un esubero”, ricevuto dagli esternalizzandi di Montepaschi. No, non c’è traccia di polemica nelle parole dei dipendenti Ies, ma non gradiscono l’eccesso di premura delle istituzioni locali, l’ansia di non alimentare illusioni. «Se dovessi “taggare” un intervento tra quelli che ho ascoltato finora, sceglierei quello del vescovo. Agli altri è mancata la passione – esordisce Nizzoli, riferendosi alle parole del sindaco Nicola Sodano e del presidente della Provincia Alessandro Pastacci – Dire che la partita si gioca a livelli più alti è quasi un arrendersi, vorrei che le istituzioni fossero unite non soltanto con la loro presenza, ma anche con il cuore. Qualche volta vorrei vedere vincere l’uomo contro il business».

Il vescovo, quindi. Monsignore non dice grazie né spreca fiato in parole di circostanza, al contrario, confessa la sua fatica di essere al Bibiena. «Cosa posso dire o fare io? Io che alla notizia della chiusura della Ies mi sono sentito sconfitto». Racconta Busti della sua famiglia operaia, dell’affanno del fratello che in un periodo della sua vita rimase disoccupato. Altri tempi, quando, perso un lavoro, si poteva sperare nel successivo. «Adesso continuano a parlare di ripresina e di alba, poi però le mazzate arrivano qui». Applausi.

Monsignore cita Papa Francesco, dice che un vescovo deve stare davanti, nel mezzo e pure dietro al suo gregge, per raccogliere chi zoppica e inciampa. Per non perdere nessuno. Insieme al lavoro si smarrisce la dignità e lui se lo sente addosso il peso di tutte le persone che si trascinano a occhi bassi per bussare alla Caritas. «Sarebbe bello che i sentimenti potessero dare risonanza ed effetti immediati», purtroppo la vita è un’altra cosa. Ma la speranza è un imperativo, per se stessi, la società tutta e il territorio, inteso come «terra madre». Così il vescovo chiude il suo intervento candidandosi a «garante dell’unità».

Il fronte senza crepe né spifferi predicato sia dal sindaco sia dal presidente della Provincia. Sodano s’affaccia sull’orlo «del buco nero di una crisi infinita» per avvertire che siamo scivolati in «un’emergenza sociale da cui si esce tutti insieme, o così altrimenti non si salva nessuno». Mps, Burgo, Reni, Ufi Filters, Ies. La scia si sta allungando drammaticamente. Questo non è il tempo di attribuire colpe né di cavalcare l’onda del protagonismo. È il momento di riscuotere «i crediti che il nostro territorio ha accumulato nei confronti dell’industria chimica». È il momento che il Governo recuperi il ritardo sul terreno della programmazione industriale. «Dobbiamo pretendere la continuità produttiva della raffineria» tuona il sindaco. Pastacci punta l’indice contro «una decisione incomprensibile», non cinque anni dopo un investimento da 1 miliardo di euro, e invita tutti i soggetti coinvolti al “pretavolo” convocato martedì a Palazzo di Bagno per prepararsi al nuovo round ministeriale (il 18 o il 21). Sul palco si avvicendano il viceprefetto Angelo Araldi, che si lancia in un’analisi politica, il segretario provinciale della Uil Francesco Iurato, che punta su Tea per il rilancio del polo industriale, l’assessore all’ambiente Mariella Maffini, i capigruppo Carlo Acerbi (Pdl) e Giovanni Buvoli (Pd), i parlamentari Marco Carra (Pd), deciso più che mai a «ravanare» nell’accordo Eni-Mol, e il pentastellato Alberto Zolezzi, il consigliere “barricadero” Doriano Piva. In chiusura l’esteta Rocco Linardi (Pdl), che veste della sua prosa forbita una verità brutale: «Mantova è stata sodomizzata con violenza».