Le stazioni della Via Crucis
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LE QUATTORDICI STAZIONI DELLA VIA CRUCIS
La "Via Crucis" è una pratica di pietà che consiste nella meditazione di alcuni episodi della Passione di Gesù Cristo, distribuiti in un numero determinato di “stazioni” seondo l’itinerario da Lui percorso dal pretorio di Pilato al monte Calvario, dalla condanna alla deposizione nel sepolcro.
Di origini molto antiche, ricevette nuovo impulso al tempo delle Crociate (secoli XII-XIV), quando l’approccio diretto permise di ricostruire, almeno idealmente, quel percorso, e Crociati e pellegrini, una volta ritornati in patria, vollero perpetuarne la memoria.
In seguito fu ampiamente diffusa dai Frati Minori di S. Francesco ai quali, fin dal XIV secolo, era stata affidata la custodia dei Luoghi Santi.
Al principio, nate com’erano dalla devozione popolare e privata, le stazioni non erano fisse nel numero e variavano anche nei soggetti.
Il papa Clemente XII nel 1731, accogliendo le istanze di san Leonardo da Porto Maurizio, tramite la Sacra Congregazione delle Indulgenze emanò una serie di disposizioni, ancora oggi in vigore, che ne fissano il numero, i soggetti e le annesse indulgenze. Le stazioni devono essere quattordici, distanziate l’una dall’altra, per favorire l’andare dei fedeli, e sovrastate da una croce di legno ben visibile. È raccomandabile che siano dipinte o scolpite, perché venga meglio fissato nella mente il Mistero meditato. Devono raffigurare nell’ordine: 1) Gesù condannato a morte; 2) Gesù caricato della croce; 3) Gesù che cade per la prima volta; 4) Gesù che incontra la sua santissima Madre; 5) Gesù aiutato da Simone il Cireneo; 6) Gesù asciugato dalla Veronica; 7) Gesù che cade per la seconda volta; 8) Gesù che consola le pie donne; 9) Gesù che cade per la terza volta; 10) Gesù spogliato e abbeverato di fiele; 11) Gesù inchiodato sulla croce; 12) Gesù morto in croce; 13) Gesù deposto dalla croce; 14) Gesù posto nel sepolcro.
Le quattordici stazioni della Via Crucis che si conservano in Sant’Egidio vennero a fa parte della dotazione della chiesa nel 1867. Lo sappiamo da un foglio incollato dietro la prima stazione, che reca la seguente scritta in latino: “Elegantioribus cum indigeret / Paroecialis Sancti Aegidii Ecclesia / Corporis Christi solemnibus occurrentibus / hisce Viae Crucis tabellis / piis fidelium confectis / A.D. MDCCCLXVII / honestabatur / Quas vero / die XXVIII Februarii subssequentis anni / Christi Domini Spineae Coronae dicato / festiva sacrabant vota”.
In quell’anno dunque, per il Corpus Domini, con le offerte dei fedeli la chiesa venne ornata con questa serie di stazioni, più decorose ed eleganti (di quelle che evidentemente già possedeva), stazioni che però furono solennemente consacrate solo il 28 febbraio del 1868, nel giorno dedicato alla Corona di Spine. Era allora parroco don Pietro Cabrini (1856-1881).
Racchiuse in sobrie cornici ovali di gusto neoclassico, intagliate a forma di corona d’alloro, dipinte in bianco e oro e sormontate dalla croce canonica stretta da un filatterio che reca scritto in latino il numero progressivo, le piccole tele sono elencate nell’inventario del 1887 e in quello del 1939 (archivio parrocchiale).
Il Matthiae (1935) le dice “opera di anonimo pittore lombardo veneto, non anteriore alla prima metà del secolo XVIII”. Il Marani, nella sua piccola, preziosa Guida di Mantova, le ricorda e le assegna alla prima metà dello stesso secolo. Tenuto conto del decreto cui prima si accennava, emesso nel 1731, si è propensi a proporre una datazione non molto posteriore a tale anno, sia perché questo è il periodo in cui si ha una vera fioritura di queste serie di piccoli dipinti, sia per i dati stilistici. L’ignoto autore, certamente non locale e probabilmente di ambiente veneto (sono frequenti i riferimenti, specie nei personaggi secondari, nei particolari di contorno e nelle luci, alla tradizione che discende dal Bassano), sfrutta infatti nell’impaginazione delle scene i suggerimenti di una sapiente regia, ancora barocca, che risente delle contemporanee esperienze teatrali: essa gioca quanto più è possibile sui volti e sulla gestualità dei personaggi, su dinamici impianti per diagonali, sull’utilizzazione del colore e delle luci in funzione espressiva, sulla varietà degli sfondi naturali e architettonici, nell’intento costante di coinvolgere emotivamente il fruitore. Nonostante le modeste misure, ogni singolo tema è trattato in composizioni di largo respiro, complesse e studiate nei dettagli quasi fossero bozzetti per dipinti di grandi dimensioni. Ciascuna ha sue peculiari qualità, che però si potenziano e acquistano significato nel discorso globale, per cui resta difficile isolarle l’’una dall’altra.
Si accennerà perciò a ciascuna con un breve “flash”, lasciando a chi guarda l’intima gioia di ampliare e approfondire l’analisi che verrà favorita dall’accurata pulitura, da poco effettuata (Sacchetti-Brunelli): la struggente mestizia del Cristo ingiustamente condannato della prima stazione, illuminato da una lama di luce; la doppia arcata in muratura della porta di Gerusalemme della seconda, con quelle larve di figure che inveiscono risaltanti contro lo sfondo del cielo; l’immane crioce che incombe sul Cristo caduto della terza, e il cavallo che si impenna di lato; la mano della Madre semisvenuta dal dolore che cerca quella del Cristo nella quarta, e la “pia donna” in ginocchio accanto a lei; il gesto fraterno del Cireneo nella quinta, e il bagliore della nuvola rossa nel cielo; la pietà della Veronica nella sesta e le mani impietose degli sgherani che infieriscono sul Cristo nuovamente caduto nella settima; il gruppo delle donne di Gerusalemme piangenti e dei loro bimbi nell’ottava, impostato sotto le ampie fronde di un albero; il grande cavallo sghembo dell’armigero nella nona, la cui diagonale contrasta con quelle parallele della croce e del corpo di Cristo; la scala e l’armato con la tromba che, contro il cielo, sempre più cupo, fanno nella decima da contrappunto al gruppo truce dei soldati che strappano le vesti dal corpo di Cristo; la cesta con gli arnesi e il cartiglio in primo piano, e il fitto intreccio di diagonali nell’undicesima; la classica tessitura compositiva, equilibrata e composta, della dodicesima (la Crocifissione), in cui le figure dominano sull’orizzonte ribassato; il ritmo concatenato dei gesti dei dolenti (la Deposizione), cui la splendida figura di Giovanni, ammantata di rosso, fa da quinta a sinistra, mentre due figurette femminili, disperate e piangenti, quasi pre-gojesche, le si contrappongono a destra; infine il particolare taglio compositivo della quattordicesima (la Sepoltura), che permette, al di là dell’imboccatura della caverna, di scorgere in lontananza le croci sul Golgota.
Maria Giustina Grassi
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