Predicazione mese di maggio 2015 - 1a sett.
Unità Pastorale di S. Egidio e S. Apollonia - Mantova
Mese di Maggio 2015 - prima settimana 5-8/05/15 (Carlo M.)
La Famiglia nelle parole di papa Francesco - pensieri sulla famiglia stimolati dalle riflessioni delle udienze del pontefice
fonti: w2.vatican.va/content/francesco/audiences
Udienza Generale di mercoledì 17 dicembre 2014 - La Famiglia - 1. Nazaret
Udienza Generale di mercoledì 7 gennaio 2015 - La Famiglia - 2. Madre
Udienza Generale di mercoledì 28 gennaio 2015 - La Famiglia - 3. Padre
Udienza Generale di mercoledì 4 febbraio 2015 - La Famiglia - 3Bis Padre (II)
Udienza Generale di mercoledì 11 febbraio 2015 - La Famiglia - 4. I Figli
Udienza Generale di mercoledì 18 febbraio 2015 - La Famiglia - 5. I Fratelli
Udienza Generale di mercoledì 4 marzo 2015 - La Famiglia - 6. I Nonni
Udienza Generale di mercoledì 11 marzo 2015 - La Famiglia - 7. I Nonni (II)
1) La famiglia è al centro del sinodo voluto da papa Francesco (Sinodo straordinario dei vescovi "Sfide pastorali della famiglia nel contesto dell'evangelizzazione" - 5-19 ottobre 2014, che si concluderà con il 14° Sinodo generale ordinario "Gesù Cristo rivela il mistero e la vocazione della famiglia"), ed è nel cuore delle tensioni e dei cambiamenti che, percorrendo la società di oggi, generano nei suoi componenti smarrimento e timore, per la difficoltà crescente nell'individuare il senso del momento della vita che si sta vivendo.
Ma quando nasce Gesù, gli angeli ai pastori dicono "Non abbiate paura, vi annunzio una grande gioia" (Lc 2,10).
Ecco: le persone che compongono famiglia hanno bisogno di ascoltare queste parole per ritrovare serenità e la via da percorrere in una società che muta rapidamente e tende a rifiutare i valori fondanti che danno senso alla vita.
Per questo propongo alcuni pensieri che hanno al centro la famiglia: per riscoprire meditazioni che ci orientino facendoci ritrovare fiducia.
Pensavo di farlo prendendo solamente spunto dalle riflessioni del Pontefice e poi esporvele con parole mie, ma quelle di papa Francesco sono parole così ricche, complete, concrete, profonde e nello sesso tempo semplici che, nella maggior parte delle volte non mi sono sentito di modificare per non "rovinarle" o alterarle. Ho quindi deciso di riprendere alcuni brani tal quali (in corsivo), e riproporli alla vostra attenzione. Il papa non parla solo della famiglia come istituzione sociale, ma come comunità umana e soprattutto ha parole per tutte le persone (uomini e donne) che costituiscono la famiglia.
Partiamo dalla nascita di Gesù:
La buona Novella passa attraverso quella Famiglia semplice, normale, quotidiana: il padre lavora, la mamma accudisce alla vita di tutti, il figlio cresce: .... eventi insignificanti perché troppo semplici e scontati, troppo poco visibili?
No: segni meravigliosi perché reali, concreti, veri per tutti!
La Famiglia - dall'Udienza Generale di mercoledì 17/12/2014 -
Scrive il papa: "vorrei che le meditazioni insistessero su questo cammino comune .... " per "riflettere sulla famiglia, grande dono che il Signore ha fatto al mondo fin dal principio e confermato e sigillato."
Gesù nacque in una famiglia, non come personaggio potente, strabiliante, ma come figlio in una famiglia umana! Non nella capitale, nella città grande, importante e ricca, ma in un villaggio di periferia e piuttosto malfamato ("da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?" (Gv 1,46).
Gesù è rimasto per trent'anni nella famiglia di origine in quella periferia, senza fare viaggi all'estero, studi in scuole prestigiose, frequentare centri del potere secolare, compiere azioni miracolose: anni persi, buttati via dunque? Era forse un "bamboccione", per dirla con le parole dei giorni nostri?
No! Perché durante questo tempo "Gesù cresceva in sapienza, in età e in grazia davanti a Dio e davanti agli uomini"! (Lc 2, 51-52). Quindi tempo speso bene! senza l'esigenza di bruciare le tappe, inserito in una famiglia pia e operosa, nella quale si lavora e si insegna a lavorare, ci si prende cura degli altri e si insegna a farlo, si partecipa alla vita e ai doveri della comunità religiosa e sociale. Tutto questo vissuto in famiglia, perché lì c'è un tesoro importante: la Famiglia stessa.
In quella Famiglia c'è dunque un esempio per tutti:
per i figli che nello stile di vita di Gesù possono cogliere l'importanza e la bellezza della ricerca della propria vocazione, di sognare in grande e coltivare il coraggio per viverla, aspettando con pazienza i tempi giusti;
per le mamme in Maria e la sua premurosa cura per il Figlio;
per i papà, che in Giuseppe trovano l'importanza di sostenere e proteggere la propria famiglia.
E se scaviamo un po' nel nostro cuore, capiamo velocemente quanto tutti abbiamo bisogno di un esempio per orientarci nelle scelte della vita!
"La famiglia di Nazaret ci impegna a riscoprire la vocazione e la missione della famiglia, di ogni famiglia: accogliere Gesù e il suo Vangelo", ascoltarlo, crescere con Lui, "far diventare normale l'amore non l'odio; far diventare comune l'aiuto vicendevole non l'indifferenza"; frequente il dialogo, non la contrapposizione; far crescere le persone (figli, coniugi, genitori) insieme, in questo clima.
E i genitori hanno una responsabilità grande in questo, ma essere genitori significa stringersi, comprimere un po' le proprie esigenze ed aspettative, il proprio orgoglio, per far posto alla vita dei figli, dedicandosi alla loro crescita, educazione, maturazione morale, personale, religiosa, trasmettendo loro i valori sui quali costruire il senso della propria vita.
Si vive dunque, per definirlo con termini di moda, una sorta di "conflitto di interessi" o almeno di "esigenze".
E come si affronta e si risolve un conflitto di interessi così profondo e personale?
Non è semplice, anzi! Talvolta è davvero una "battaglia". Abbiamo dunque bisogno di guida e sostegno, che possiamo trovare nelle parole di papa Francesco.
Cominciamo con la figura della madre.
La famiglia - Madre - dall'Udienza Generale di mercoledì 7 gennaio 2015
é la figura nel cuore della famiglia, che forse più di tutte identifica e richiama la famiglia perché: "Ogni persona umana deve la vita a una madre e quasi sempre deve a lei molto della propria esistenza successiva, della formazione umana e spirituale".
Ma di essa e della sua capacità di sacrifico e dedizione spesso si approfitta nella società e, talvolta, anche nella comunità cristiana non si colgono riflessioni, aspirazioni, i frutti autentici della loro emancipazione e fatiche quotidiane per districarsi nelle attività casalinghe e di lavoro che svolgono.
E questo loro essere costituisce "l'antidoto più forte al dilagare dell'individualismo egoistico", il loro vivere è un dare la vita a poco a poco, come un "martirio materno" (arcivescovo Oscar Arnulfo Romero), che discende da una scelta di vita, la scelta di dare la vita, appunto.
"Una società senza madri sarebbe una società disumana, perché le madri sanno testimoniare sempre, anche nei momenti peggiori, la tenerezza, la dedizione, la forza morale. Le madri trasmettono spesso anche il senso più profondo della pratica religiosa: nelle prime preghiere, nei primi gesti di devozione che un bambino impara, è inscritto il valore della fede nella vita di un essere umano. E’ un messaggio che le madri credenti sanno trasmettere senza tante spiegazioni."
Oggi alla donna è sempre più "permesso" (direi: spesso richiesto o addirittura imposto) di lavorare oltre che occuparsi della famiglia e della casa. Ciò è considerato una conquista e segno di emancipazione, ma forse più spesso è segno della difficoltà a sostenere la famiglia, in quanto un solo reddito non è sufficiente a mantenerla, a vantaggio di operatori economici che possono spendere meno per singolo lavoratore.
Ne deriva comunque che la donna, per volontà o per necessità è assorbita e sfidata dal lavoro come l'uomo, ha quindi meno energie da condividere in famiglia ed è soggetta alla tentazione di lasciarsi coinvolgere in modo totale dal lavoro trovando solo in esso gratificazione .... Credo quindi si possa dire alle madri di non considerarsi donne migliori se si lasciano divorare/assorbire dal lavoro come fanno molti padri, perché non è questa la realizzazione della loro vocazione (come non lo è per i padri).
2) La Famiglia - Padre - dall'Udienza Generale di mercoledì 28 gennaio 2015
È il nome con il quale Gesù ci ha insegnato a chiamare Dio, [...] è una parola universale che indica una relazione fondamentale la cui realtà è antica quanto la storia dell'uomo.
Tuttavia nella cultura occidentale odierna la figura del padre sarebbe assente, rimossa e ciò ha sviluppato una "società senza padri". Apparentemente una liberazione dalla figura del padre-padrone che esprime l'educazione tramite autoritarismo e sopraffazione, o limitando l'emancipazione e l'autonomia dei figli; liberazione da che padri non aiutano i figli ad intraprendere la loro strada con libertà e ad assumere le proprie responsabilità nella costruzione del futuro loro e quello della società. In realtà dall'invadenza si è passati all'assenza e latitanza (mancanza della guida) perché talora i padri sono così concentrati su se stessi, sul lavoro e sulla propria realizzazione da dimenticare anche la famiglia lasciando soli i piccoli e i giovani.
Questo genera un senso di orfanezza nei ragazzi che produce lacune e ferite, dalle quali possono derivare devianze in bambini e adolescenti.
"Sono orfani in famiglia, perché i papà sono spesso assenti, anche fisicamente, da casa, ma soprattutto perché, quando ci sono, non si comportano da padri, non dialogano con i loro figli, non adempiono il loro compito educativo, non danno ai figli, con il loro esempio accompagnato dalle parole, quei principi, quei valori, quelle regole di vita di cui hanno bisogno come del pane. La qualità educativa della presenza paterna è tanto più necessaria quanto più il papà è costretto dal lavoro a stare lontano da casa. A volte sembra che i papà non sappiano bene quale posto occupare in famiglia e come educare i figli. E allora, nel dubbio, si astengono, si ritirano e trascurano le loro responsabilità, magari rifugiandosi in un improbabile rapporto “alla pari” con i figli. E’ vero che tu devi essere “compagno” di tuo figlio, ma senza dimenticare che tu sei il padre! Se tu ti comporti soltanto come un compagno alla pari del figlio, questo non farà bene al ragazzo."
"E questo problema lo vediamo anche nella comunità civile. La comunità civile con le sue istituzioni, ha una certa responsabilità – possiamo dire paterna - verso i giovani, una responsabilità che a volte trascura o esercita male. Anch’essa spesso li lascia orfani e non propone loro una verità di prospettiva. I giovani rimangono, così, orfani di strade sicure da percorrere, orfani di maestri di cui fidarsi, orfani di ideali che riscaldino il cuore, orfani di valori e di speranze che li sostengano quotidianamente. Vengono riempiti magari di idoli ma si ruba loro il cuore; sono spinti a sognare divertimenti e piaceri, ma non si dà loro il lavoro; vengono illusi col dio denaro, e negate loro le vere ricchezze."
"E allora farà bene a tutti, ai padri e ai figli, riascoltare la promessa che Gesù ha fatto ai suoi discepoli: «Non vi lascerò orfani» (Gv 14,18). E’ Lui, infatti, la Via da percorrere, il Maestro da ascoltare, la Speranza che il mondo può cambiare, che l’amore vince l’odio, che può esserci un futuro di fraternità e di pace per tutti."
È Lui l'esempio di cui noi padri abbiamo bisogno per affrontare quel "conflitto di interessi" nel quale ci troviamo non di rado a combattere! Perché questo è chiesto ai padri: il coraggio e l'amore di "perdere tempo" con i figli per essere per loro esempi e guide autorevoli, giorno per giorno.
La Famiglia - Padre (II) - Udienza Generale di mercoledì 4 febbraio 2015
"Anche san Giuseppe fu tentato di lasciare Maria, quando scoprì che era incinta; ma intervenne l’angelo del Signore che gli rivelò il disegno di Dio e la sua missione di padre putativo; e Giuseppe, uomo giusto, «prese con sé la sua sposa» (Mt 1,24) e divenne il padre della famiglia di Nazaret.
Ogni famiglia ha bisogno del padre. Oggi ci soffermiamo sul valore del suo ruolo, e vorrei partire da alcune espressioni che si trovano nel Libro dei Proverbi, parole che un padre rivolge al proprio figlio, e dice così: «Figlio mio, se il tuo cuore sarà saggio, anche il mio sarà colmo di gioia.» (Pr 23,15-16). Non si potrebbe esprimere meglio l’orgoglio e la commozione di un padre che riconosce di avere trasmesso al figlio/figlia quel che conta davvero nella vita, ossia un cuore saggio. Questo padre non dice: “Sono fiero di te perché sei proprio uguale a me, perché ripeti le cose che dico e che faccio io”. Gli dice qualcosa di ben importante, che potremmo interpretare così: “Sarò felice ogni volta che ti vedrò agire con saggezza, e sarò commosso ogni volta che ti sentirò parlare con rettitudine. Questo è ciò che ho voluto lasciarti, perché diventasse una cosa tua: l’attitudine a sentire e agire, a parlare e giudicare con saggezza e rettitudine. E perché tu potessi essere così, ti ho insegnato cose che non sapevi, ho corretto errori che non vedevi. Ti ho fatto sentire un affetto profondo e insieme discreto, che forse non hai riconosciuto pienamente quando eri giovane e incerto. Ti ho dato una testimonianza di rigore e di fermezza che forse non capivi, quando avresti voluto soltanto complicità e protezione. Ho dovuto io stesso, per primo, mettermi alla prova della saggezza del cuore, e vigilare sugli eccessi del sentimento e del risentimento, per portare il peso delle inevitabili incomprensioni e trovare le parole giuste per farmi capire. Adesso – continua il padre -, quando vedo che tu cerchi di essere così con i tuoi figli, e con tutti, mi commuovo. Sono felice di essere tuo padre”. È così ciò che dice un padre saggio, un padre maturo.
Un padre sa bene quanto costa trasmettere questa eredità: quanta vicinanza, quanta dolcezza e quanta fermezza. Però, quale consolazione e quale ricompensa si riceve, quando i figli rendono onore a questa eredità! E’ una gioia che riscatta ogni fatica, che supera ogni incomprensione e guarisce ogni ferita. Che spegne qualsiasi conflitto con i figli.
La prima necessità, dunque, è proprio questa: che il padre sia presente nella famiglia. Che sia vicino alla moglie, per condividere tutto, gioie e dolori, fatiche e speranze. E che sia vicino ai figli nella loro crescita: quando giocano e quando si impegnano, quando sono spensierati e quando sono angosciati, quando si esprimono e quando sono taciturni, quando osano e quando hanno paura, quando fanno un passo sbagliato e quando ritrovano la strada; padre presente, sempre. Dire presente non è lo stesso che dire controllore! Perché i padri troppo controllori annullano i figli, non li lasciano crescere.
Il Vangelo ci parla dell’esemplarità del Padre che sta nei cieli – il solo, dice Gesù, che può essere chiamato veramente “Padre buono” (cfr Mc 10,18). Tutti conoscono quella straordinaria parabola chiamata del “figlio prodigo”, o meglio del “padre misericordioso”, (Lc 15,11-32). I padri devono essere pazienti. Tante volte non c’è altra cosa da fare che aspettare; pregare e aspettare con pazienza, dolcezza, magnanimità, misericordia.
Un buon padre sa attendere e sa perdonare, dal profondo del cuore. Certo, sa anche correggere con fermezza: non è un padre debole, arrendevole, sentimentale. Il padre che sa correggere senza avvilire è lo stesso che sa proteggere senza risparmiarsi.
Se dunque c’è qualcuno che può spiegare fino in fondo la preghiera del “Padre nostro”, insegnata da Gesù, questi è proprio chi vive in prima persona la paternità. Senza la grazia che viene dal Padre che sta nei cieli, i padri perdono coraggio, e abbandonano il campo. Ma i figli hanno bisogno di trovare un padre che li aspetta quando ritornano dai loro fallimenti. Faranno di tutto per non ammetterlo, per non darlo a vedere, ma ne hanno bisogno; e il non trovarlo apre in loro ferite difficili da rimarginare.
3) La Famiglia - I Figli - dall'Udienza Generale di mercoledì 11 febbraio 2015
Essere figlio: condizione tanto combattuta perché dall'adolescenza in poi non si vede l'ora di conquistare l'indipendenza, al punto che si fatica a vedere ciò che si ha a disposizione, pur di sentirsi grandi.
Pensiamoci un momento: Gesù è venuto come figlio, non come padre, o come single, come zio o nonno: come figlio. E, credo, ha scelto la condizione più bella: perché è in particolare fin che si è giovani che si può osservare il mondo e di esso scegliere di acquisire il buono e rifiutare il brutto, si può sognare e allo stesso tempo iniziare a costruire sé stessi e intorno a noi; il tutto ancora sotto la protezione dell'amore dei genitori.
In quest'ottica un'altra riflessione: Gesù - la migliore guida ed esempio per i figli - ha scelto non la posizione di manager, di calciatore di serie A, di attore/attrice famoso, di campione di F1; no ha scelto di essere figlio che con impegno cresce a fianco dei genitori e poi si lancia nella sua vita, al tempo gusto.
Ci dice il papa: Prendo spunto da una bella immagine di Isaia: «I tuoi figli si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore» (60, 4-5a).
E’ una splendida immagine, un’immagine della felicità che si realizza nel ricongiungimento tra i genitori e i figli, che camminano insieme verso un futuro di libertà e di pace, dopo un lungo tempo di privazioni e di separazione, quando il popolo ebraico si trovava lontano dalla patria.
In effetti, c’è uno stretto legame fra la speranza di un popolo e l’armonia fra le generazioni.
[...]La gioia dei figli fa palpitare i cuori dei genitori e riapre il futuro. I figli sono la gioia della famiglia e della società. Non sono un problema di biologia riproduttiva, né uno dei tanti modi di realizzarsi. E tanto meno sono un possesso dei genitori … No. I figli sono un dono, sono un regalo. Ciascuno è unico e irripetibile. [...] Un figlio lo si ama perché è figlio: non perché bello, o perché è così o cosà. Un figlio è un figlio: una vita generata da noi ma destinata a lui, al suo bene, al bene della famiglia, della società, dell’umanità intera.
[...] Di qui viene anche la profondità dell’esperienza umana dell’essere figlio e figlia, che ci permette di scoprire la dimensione più gratuita dell’amore, che non finisce mai di stupirci. E’ la bellezza di essere amati prima: i figli sono amati prima che arrivino, prima di venire al mondo. E questa è gratuità, questo è amore; sono amati prima della nascita, come l’amore di Dio che ci ama sempre prima. Sono amati prima di aver fatto qualsiasi cosa per meritarlo, prima di saper parlare o pensare, addirittura prima di venire al mondo! Essere figli è la condizione fondamentale per conoscere l’amore di Dio (importante ruolo della famiglia e dei genitori).
Possiamo imparare il buon rapporto fra le generazioni dal nostro Padre celeste, che lascia libero ciascuno di noi ma non ci lascia mai soli. E se sbagliamo, Lui continua a seguirci con pazienza senza diminuire il suo amore per noi. Il Padre celeste non fa passi indietro nel suo amore per noi, mai!
La Famiglia - I Fratelli - Udienza Generale di mercoledì 18 febbraio 2015
Il legame fraterno ha un posto speciale nella storia del popolo di Dio, che riceve la sua rivelazione nel vivo dell’esperienza umana. Il salmista canta la bellezza del legame fraterno: «Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme!» (Sal 132,1). E questo è vero, la fratellanza è bella! Gesù Cristo ha portato alla sua pienezza anche questa esperienza umana dell’essere fratelli e sorelle, assumendola nell’amore trinitario e potenziandola così che vada ben oltre i legami di parentela e possa superare ogni muro di estraneità.
Quando il rapporto fraterno si rovina, quando si rovina il rapporto tra fratelli, si apre la strada ad esperienze dolorose di conflitto, di tradimento, di odio. Dio domanda a Caino: «Dov’è Abele, tuo fratello?» (Gen 4,9a). E’ una domanda che il Signore continua a ripetere in ogni generazione. E purtroppo, in ogni generazione, non cessa di ripetersi anche la drammatica risposta di Caino: «Non lo so. Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9b).
Il legame di fraternità che si forma in famiglia tra i figli, se avviene in un clima di educazione all’apertura agli altri, è la grande scuola di libertà e di pace. In famiglia, tra fratelli si impara la convivenza umana, come si deve convivere in società. Forse non sempre ne siamo consapevoli, ma è proprio la famiglia che introduce la fraternità nel mondo! A partire da questa prima esperienza di fraternità, nutrita dagli affetti e dall’educazione familiare, lo stile della fraternità si irradia come una promessa sull’intera società e sui rapporti tra i popoli.
E possiamo pensare che sia da qui che nascono l'attenzione all'altro anche in assenza di legami di parentela, e anche la vocazione alla vita consacrata come attenzione all'altro, fratello in Dio.
Avere un fratello, una sorella che ti vuole bene è un’esperienza forte, impagabile, insostituibile.
Pensate che cosa diventa il legame fra gli uomini, anche diversissimi fra loro, quando possono dire di un altro: “Questo è proprio come un fratello, questa è proprio come una sorella per me”! E’ bello questo! La storia ha mostrato a sufficienza, del resto, che anche la libertà e l’uguaglianza, senza la fraternità, possono riempirsi di individualismo e di conformismo, anche di interesse personale.
Una digressione sul sociale: Oggi più che mai è necessario riportare la fraternità al centro della nostra società tecnocratica e burocratica: allora anche la libertà e l’uguaglianza prenderanno la loro giusta intonazione. Perciò, non priviamo a cuor leggero le nostre famiglie, per soggezione o per paura, della bellezza di un’ampia esperienza fraterna di figli e figlie.
4) La Famiglia - I Nonni - Udienza Generale di mercoledì 4 e 11 marzo 2015
Essere nonni è l'altra condizione, come quella dell'essere figlio, che non deriva da una scelta attiva ma dal ricevere qualcosa che potremmo proprio definire dono.
Il figlio riceve la vita in dono e il suo concepimento e nascita è contemporaneamente dono per i nonni che in quel momento divengono tali. Ecco il primo dono!
Il secondo dono è la vita che, anziché interrompersi in un tempo breve, si prolunga. Più difficile da vedere perché a volte porta con sé delle difficoltà, ma sempre dono. È questa l'angolazione giusta di vedere la propria condizione di nonni: senza questi doni impegnativi non si diventa nonni!
Apprezzarli consente di affrontare meglio e superare le difficoltà che questa esperienza porta con sé, perché - credo si possa dire - capita talvolta di sentire lamentarsi per l'essere anziani o nonni, un po' come fanno i giovani che vogliono fuggire in avanti. Ma per i nonni davanti c'è meno futuro.... è allora come reagire? "Non abbiate paura". Ecco bisogna non avere paura di vivere con gioia il presente, l'oggi!
Ci ammonisce papa Francesco: In Occidente, gli studiosi presentano il secolo attuale come il secolo dell’invecchiamento: i figli diminuiscono, i vecchi aumentano. Questo sbilanciamento ci interpella, anzi, è una grande sfida per la società contemporanea. Eppure una cultura del profitto insiste nel far apparire i vecchi come un peso, una “zavorra”.
C’è qualcosa di vile in questa assuefazione alla cultura dello scarto. Ma noi siamo abituati a scartare gente. Vogliamo rimuovere la nostra accresciuta paura della debolezza e della vulnerabilità; ma così facendo aumentiamo negli anziani l’angoscia di essere mal sopportati e abbandonati. Sono abbandonati nella egoistica incapacità di accettare i loro limiti che riflettono i nostri limiti. Questi anziani dovrebbero invece essere, per tutta la società, la riserva sapienziale del nostro popolo. Con quanta facilità si mette a dormire la coscienza quando non c’è amore!. Io ricordo, quando visitavo le case di riposo, parlavo con ognuno e tante volte ho sentito questo: “Come sta lei? E i suoi figli? - Bene, bene - Quanti ne ha? – Tanti. - E vengono a visitarla? - Sì, sì, sempre, sì, vengono. – Quando sono venuti l’ultima volta?”. Ricordo un’anziana che mi diceva: “Mah, per Natale”. Eravamo in agosto!Otto mesi senza essere visitati dai figli, otto mesi abbandonata! Questo si chiama peccato mortale, capito?
Nella tradizione della Chiesa vi è un bagaglio di sapienza che ha sempre sostenuto una cultura di vicinanza agli anziani, una disposizione all’accompagnamento affettuoso e solidale in questa parte finale della vita.
Dobbiamo risvegliare il senso collettivo di gratitudine, di apprezzamento, di ospitalità, che facciano sentire l’anziano parte viva della sua comunità.
Gli anziani sono uomini e donne, padri e madri che sono stati prima di noi sulla nostra stessa strada, nella nostra stessa casa, nella nostra quotidiana battaglia per una vita degna. Sono uomini e donne dai quali abbiamo ricevuto molto. L’anziano non è un alieno. L’anziano siamo noi: fra poco, fra molto, inevitabilmente comunque, anche se non ci pensiamo. E se noi non impariamo a trattare bene gli anziani, così tratteranno a noi.
Una società senza prossimità, dove la gratuità e l’affetto senza contropartita – anche fra estranei – vanno scomparendo, è una società perversa. La Chiesa, fedele alla Parola di Dio, non può tollerare queste degenerazioni.
Una comunità cristiana in cui prossimità e gratuità non fossero più considerate indispensabili, perderebbe con esse la sua anima. Dove non c’è onore per gli anziani, non c’è futuro per i giovani.
Il rifiuto dell'anziano in fondo può rappresentare il rifiuto del nostro futuro perché ne abbiamo paura
L’anzianità è una vocazione. Non è ancora il momento di “tirare i remi in barca”.
È importante la testimonianza degli anziani nella fedeltà.
La preghiera, infine, purifica incessantemente il cuore. La lode e la supplica a Dio prevengono l’indurimento del cuore nel risentimento e nell’egoismo. Com’è brutto il cinismo di un anziano che ha perso il senso della sua testimonianza, disprezza i giovani e non comunica una sapienza di vita! Invece com’è bello l’incoraggiamento che l’anziano riesce a trasmettere al giovane in cerca del senso della fede e della vita! E’ veramente la missione dei nonni, la vocazione degli anziani.
Già, perché anche l'anziano può ancora fare per gli altri, non solo attendersi qualcosa.
A conclusione di queste brevi riflessioni: per tutti gli uomini e donne che vivono la realtà della famiglia, come nonni, figli, fratelli, madri e padri, coniugi, il senso del proprio vivere è riscoprire i doni dello Spirito Consolatore per portare frutto, con la fiducia che, per quanto buio possa essere il momento che ciascuno vive, la Luce è venuta nel mondo (Gv 1,9) ed è venuta proprio accolta in una famiglia! In una Famiglia vocata ad educare alla Verità, a riconoscere i valori, a chiamare con sincerità le cose con il loro vero nome, a non fare finta di niente quando il fratello subisce l'ingiustizia, ad insegnare la coesistenza dei doveri con i diritti.
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