Salta navigazione.
Home

Primo incontro Sinodale: i cinque pilastri fondanti del cammino unitario delle Unità Pastorali mantovane

PRIMO INCONTRO SINODALE: RELAZIONE DEL DISCORSO DELL'ARCIVESCOVO DI MODENA E NONANTOLA Di seguito la trattazione e dell'approfondimento della catechesi tenuta da Mons. Lanfranchi in Duomo lo scorso 5 novembre: i cinque pilastri fondanti del cammino sinodale delle comunità mantovane.

A cura di Pierino Gavioli ___________________________________________________________________________________________________ L’unità pastorale S. Egidio/S. Apollonia giovedì sera 21 novembre ha vissuto un primo e intenso momento di esperienza Sinodale, in preparazione del SINODO DIOCESANO convocato dal Vescovo Roberto per Maggio 2014. La serata ha coinvolto rappresentanti di tutte le nostre esperienze di gruppo: catechesi, pastorale, carità, animazione liturgica…
Si è trattato di un momento di preghiera, di conoscenza reciproca e di presentazione-studio della prima relazione del cammino di avvicinamento al Sinodo; si è affrontato la relazione della catechesi di mons. Antonio Lanfranchi tenuta in Duomo martedì 6 novembre dal titolo:
“Fossimo tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore dare loro il suo Spirito”
(…e insieme parlassero di Dio) Nm 11,29.
Mons. Lanfranchi richiama all’inizio l’esperienza di Mosè, raccontata dal testo biblico, che vorrebbe vedere conferito a Tutti il dono dello Spirito Divino e non soltanto ad un gruppo di eletti.
Tale desiderio espresso da Mosè si farà profezia nel libro di Gioele e si realizzerà pienamente nella Pentecoste di Gesù Cristo. Nello Spirito tutti i cristiani entrano nella comunione con Cristo ed in questa forte esperienza si possono trovare le principali caratteristiche della natura della Chiesa.

1- L’esperienza sinodale (incontro; adunanza; concilio) è stata dimensione essenziale della comunità ecclesiale. Sinodalità e comunione hanno caratterizzato la Chiesa delle origini. (Vale ancora oggi? Ne siamo pienamente consapevoli? Lo testimoniamo ancora consapevolmente attraverso il nostro stile di Chiesa?). Il Signore ha voluto vivere la sua Pasqua per Tutti e per Tutti ha donato il suo Spirito di Comunione. Proprio per questo la Chiesa non è una semplice esperienza d’aggregazione umana: lo Spirito l’arricchisce di specifici carismi e l’apre all’esperienza missionaria. Dunque lo stile sinodale appartiene da sempre alla Chiesa e questa certezza è fortemente sottolineata negli At(1,15-20/6,1-7) e nel Concilio Vaticano II.
Sinodalità e comunione si richiamano, si completano, fanno parte della stessa esperienza spirituale nella Chiesa. Attraverso lo stile sinodale la comunione si manifesta quale dimensione divina e umana, invisibile e visibile, trascendente ed immanente: essa è animata dallo Spirito.
Tutti noi siamo invitati a farci profeti e missionari per diffondere il Vangelo, per parlare di Dio.

2- L’esercizio della profezia e della missione oggi nella Chiesa incontra delle difficoltà, degli ostacoli interni ed esterni, cioè dovuti alla Chiesa stessa ed alla società civile.
Mons. Lanfranchi ne cita brevemente alcuni, offrendoli per nostre ulteriori riflessioni:
- Forse riteniamo il messaggio evangelico troppo alto, che persegua una causa folle, irragionevole, troppo lontano dall’uomo, da ammorbidire ed edulcorare…
- Forse nel tempo si è spento l’ardore iniziale e la forza della fede; il cristianesimo si è trasformato in una religione civile…
- Forse soffriamo di un senso d’impotenza, di timidezza nei confronti dei messaggi forti (o supposti tali!) del mondo.

3- L’annuncio del Vangelo da sempre è vitale, costitutivo per la Chiesa. Il cristianesimo si perpetua, si incarna nel presente attraverso la trasmissione tra persone (“Traditio-redditio fidei”).
La fede è accolta quale messaggio gioioso di salvezza e nella gioia va annunciato: il fedele non può farne a meno, diventa dovere intrinseco!
La Chiesa nasce dall’esperienza di incontro col Risorto e dal bisogno di comunicarlo ad altri per farli compartecipi dell’esperienza di salvezza. Tra i fedeli forse si nota un senso di inferiorità nella propria azione di testimonianza, inferiorità rispetto alla forza e prepotenza dei messaggi del mondo (!?). La crisi della forza della fede, forse, non è di natura intellettuale, teologica; è prima di tutto crisi nei valori affettivi, nelle esperienze affettive. L’uomo oggi sente Dio lontano, assente, eclissato per la Sua distanza dal cuore umano, dagli affetti umani. Noi non riusciamo a testimoniare-trasmettere con forza e convinzione l’amore di Dio per ogni uomo, il Suo farsi prossimo. Manca la passione, il fuoco dell’amore: nelle nostre relazioni umane la comunicazione della fede è assente o per lo meno è debole! Al contrario il processo di trasmissione del fatto umano, della sua cultura, del suo sapere è da sempre indispensabile all’esistenza stessa dell’uomo: questo dovrebbe valere anche e soprattutto per ciò in cui si crede più profondamente! La difficoltà nel trasmettere la fede, nel renderla viva nell’oggi forse è legata alla nostra debole esperienza di fede: da tempo è in atto un progressivo scollamento-allontanamento dalla vita di Gesù, dal suo Vangelo. Oggi tra di noi assistiamo pacificamente ad una “serena non religiosità”, ad una prassi di fede civile, impersonale.
Nella vita, nelle idee degli ultimi tempi notiamo una forte contrapposizione, una netta dicotomia: tra cultura e fede, tra società e chiesa. La cultura e la società vivono un grande fenomeno di pluralismo che arriva, per certi versi, ad un relativismo che tende a livellare le varie esperienze, ad appiattirle. Al contrario la fede e la Chiesa si fondano su un assoluto, un valore che richiede certezza: il loro centro è Gesù ed il suo Vangelo!
Il pluralismo sociale non si esprime solo nel sapere, nelle decisioni, negli stili di vita; esso si infiltra pericolosamente nelle coscienze degli uomini e le manipola, le condiziona. La libertà, l’originalità del giudizio morale personale rischia di perdere vigore, di avvilirsi.
La proposta cristiana appare, così, uno dei tanti e possibili progetti di vita, di proposte umane di realizzazione e felicità.

4- L’esperienza più significativa della Chiesa di ogni tempo è saper parlare di Dio; tutti i suoi componenti dovrebbero sentirne il bisogno, il gusto, la soddisfazione che va oltre l’eventuale senso di stanchezza. Tutti i cristiani hanno un ruolo nella trasmissione di fede, certamente ognuno secondo le proprie capacità, i propri carismi. Non è un problema di organizzazione, di mancanza di abilità personali; non costituiscono un problema neppure i “lontani”, quelli che vivono fuori o ai margini della proposta di fede. Forse il principale ostacolo è la nostra incapacità di saper raggiungere gli altri uomini, di saperli contagiare; la Chiesa soffre di stanchezza interna, di insipidezza propositiva, di pigrizia profetica.
Dobbiamo riuscire a mettere in stretta correlazione i due fondamentali–basilari principi di “convocazione e missione” che hanno costituito fin dall’inizio l’opera della Chiesa!
Nel Vangelo si narra, si testimonia che Gesù apparve più volte ai suoi, che si mostrò ad essi dopo la sua passione con” molte prove”. Questa sottolineatura non è casuale, forse non era destinata solo alla fede dei contemporanei: essa è da leggere come messaggio rivolto ai discepoli di tutti i tempi! Si diventa discepoli non una volta solo per tutta la vita, ma attraverso un’assimilazione lunga e continuata (sequela permanente). Non basta qualche esperienza esaltante; non si smette mai di imparare ad essere discepoli!
L’esperienza della Chiesa di Sinodalità, nelle sue varie forme, si esprime, si realizza nel discernimento. Tutte le sue componenti sono corresponsabili ed indispensabili nel maturare le scelte, le linee guida del suo cammino di testimonianza di Gesù (questa sera le nostre comunità, S. Egidio e S. Apollonia, vivono un’intensa e prima esperienza sinodale!).
Anche il Vaticano II sottolinea l’importanza che tutto il popolo di Dio sappia insieme leggere i tempi, le vicende umane e discernere entro esse la volontà dello Spirito, prendere le adeguate iniziative di testimonianza. Il discernimento va considerato come parte essenziale dell’azione pastorale della Chiesa; esso deve essere costantemente applicato dalla comunità all’osservazione dei fatti storici-umani per coglierne le richieste, le ricchezze, le debolezze.
La Chiesa, attraverso un discernimento guidato dalla fede, può meglio individuare al suo interno i diversi carismi, i ministeri e così meglio rispondere ai bisogni del prossimo.
Il primo protagonista del discernimento della comunità cristiana è lo Spirito! Lui ci convoca, Lui ci educa, Lui ci dona l’intelletto, Lui ci dona la parola! Senza la vita dello Spirito non possiamo fare comunione-sinodalità-discernimento! Non possiamo essere Chiesa!
Comunione e discernimento sono alla base della comunità, ma non c’è vera comunità senza una vera esperienza spirituale di comunione e preghiera.
Da tempo gli organismi di partecipazione cristiana sono in crisi. (Crisi spirituale? Crisi pastorale?
Quali le cause? Quali i rimedi?). Forse la crisi non è solo o tanto di natura intellettuale, tecnica, operativa. Le vere ragioni vanno cercate in un nostro difetto di coscienza ecclesiale e di vita spirituale! Solo queste dimensioni cristiane possono motivare e sostenere l’impegno, la prassi pastorale! Manca, forse, un’intensa esperienza di preghiera, un’abitudine a vivere momenti di spiritualità, personale e comunitaria. (Parlare di Dio, ma prima e soprattutto parlare con Dio!).

5- La comunicazione della fede è indispensabile alla testimonianza e alla missione nella Chiesa: è stato così agli inizi, è e sarà sempre così! Recentemente Papa Francesco ha sottolineato che ciò che si comunica nella Chiesa è la luce nuova che nasce dall’incontro con il Dio vivo.
La comunicazione della fede mette in gioco, impegna ed espone tutta la persona, corpo e spirito, interiorità e relazioni esteriori. Si comunica, se si è sinceramente autentici, ciò che si è e non semplicemente un’idea, un valore, ciò che si apprende.
La Nuova Evangelizzazione non è anzitutto questione organizzativa, di iniziative, di strutture: essa richiede relazioni umane significative. Forse ci manca la passione, il fuoco dell’amore langue nel nostro cuore e non riusciamo a comunicare l’importanza dell’incontro con l’altro. Ogni persona vive sempre in relazione e si costituisce in base ad esse. Veniamo da altri, apparteniamo ad altri, cresciamo e aumentiamo di valore grazie all’incontro con altri.
Noi cristiani abbiamo la fede individuale, ma è impossibile credere da soli; la fede non può essere solo opzione personale ed intima. Rispondiamo in prima persona credo solo perché apparteniamo e veniamo da un credere comunitario.
La nostra comunicazione di Dio e della sua salvezza in Cristo si fa parola e testimonianza.
Noi parliamo di Dio nella vita, con la vita.
La vita di ogni persona è costellata, arricchita da una serie più o meno lunga di passaggi, di momenti, occasioni…Ognuno li affronta, li vive nella speranza di realizzarsi pienamente in felicità. Molti sperimentano che soprattutto nei momenti di crisi, rottura, sofferenza si può fare più acuta la domanda di aiuto, di salvezza, di Dio.
Tutte le situazioni della vita di ognuno possono diventare occasione di invocazione, di incontro, di richiesta di perdono e di rendimento di grazie verso Dio! La Bibbia non è altro, in fondo, che una serie di racconti che testimoniano esperienze di questo tipo.
Dio si mostra un Dio vicino, familiare proprio nell’adesso di ogni uomo.
Per evangelizzare e testimoniare pienamente il Dio vicino bisogna entrare nella mappa delle circostanze di vita del nostro prossimo. La vita tutta è un terreno sacro dove avviene l’incontro tra Dio e l’uomo. Visitare e incontrare la vita degli uomini è fondamentale per realizzarci come Chiesa: per questo dobbiamo sospendere i nostri giudizi morali su di essi e accompagnarli con amore, lo stesso tipo di amore di Gesù. I cristiani, la Chiesa devono visitare e accompagnare la storia degli uomini con il Vangelo.
Dio dà molti appuntamenti nella vita di tutti e attraverso essi Egli impartisce benedizioni.
Spesso siamo chiamati noi cristiani a portare, a diffondere le Sue benedizioni, ma noi manchiamo all’appuntamento o rimaniamo muti. Perdiamo, roviniamo l’occasione di far incontrare Dio ai nostri fratelli: omettiamo di farci prossimi ad essi. Ognuno di noi, come dice S. Paolo, è chiamato ad essere messaggero, angelo di Dio, della Sua salvezza in Cristo in casa, ufficio…
Mons. Lanfranchi ha concluso citando un augurio di Paolo VI:
“Possa il mondo del nostro tempo ricevere la Buona Novella non da evangelizzatori tristi e scoraggiati, impazienti e ansiosi, ma da ministri del Vangelo, la cui vita irradi fervore, che abbiano per primi ricevuto in loro la gioia del Cristo e accettino di mettere in gioco la propria vita, affinché il Regno sia annunciato e la Chiesa sia impiantata nel cuore del mondo” (E.N.89).